Chiusi appaiono gli occhi del protagonista Pietro, inetto alla vita e inconcludente; chiusi gli occhi della madre Anna, iperprotettiva e sottomessa al marito, chiusi gli occhi del padre, Domenico, interamente dedito ai propri affari economici, chiusi quelli di Giacco e Masa, poderanti incapaci di riconoscer lo sfruttamento al quale sono sottoposti, chiusi gli occhi della stessa Ghisola, amante di Pietro, disillusa dalla vita e in cerca di una sistenazione a qualunque costo. Una storia di monadi interamente chiuse in se stesse, incapaci di aprirsi veramente, di trascender il proprio meschino universo o di comunicar con il resto del mondo, cieche al proprio avvenire quanto al proprio presente.
...ContinuaPeriodo e luogo di ambientazione:
Siena e Firenze, città e campagna, fra la fine dell'800' e l'inizio del 900'
Trama:
Domenico Rosi, misero contadino maremmano riesce in una notevole scalata sociale che lo vede diventare proprietario di una fiorente trattoria all'Arco de' Rossi, proprio nel centro di Siena e di un podere all'estrema periferia della città, dopo porta Camollia, quella che reca l'iscrizione "cor magis tibi Sena pandit"( affermazione sulla cui veridicità la sottoscritta ha riserve che terrà per sé causa la scarsa attinenza con il compito assegnatole). Fra i crucci di Domenico l'unico figlio Pietro, ragazzino malaticcio, introverso e patologicamente distratto, che non vuole e non può essere il degno prosecutore del padre nella conduzione delle attività di famiglia.
Pietro, mandato con la madre a vivere nel podere fuori porta a causa del precario stato di salute di entrambi, proverà lì i primi palpiti del cuore per una contadinella sua coetanea : Ghisola, nipote della cameriera della madre.
Accortosi dell'infatuazione del figlio, il padre rimanderà Ghisola a Radda dai genitori.
Dopo alcuni anni, nel corso dei quali Pietro rimane orfano di madre e colleziona insuccessi scolastici, l'antico amore per la giovinetta riaffiora e lo induce a recarsi a farle visita...
PRO:
La prosa di Tozzi è croce e delizia di questo libro: croce per gli arcaismi, i toscanismi, i senesismi che la infarciscono e che mettono alla prova persino una senese quale sono e fui, per i periodi spezzati e spesso involuti che si alternano ad altri più espliciti e descrittivi; delizia per certi passaggi suggestivi e non convenzionali come la descrizione distorta e per alcuni critici "espressionista" di certi paesaggi: i mulinelli di casette sghembe a Siena, il risveglio della primavera in campagna.
CONTRO
Le tematiche e le ambientazioni sono di stampo verista, ma la trama è priva di sconvolgimenti e abbastanza prevedibile. Oggi il romanzo di Tozzi è ritenuto possedere un'attenzione inusitata, rispetto ai suoi tempi, per i moti psicologici dei personaggi, ma l'impressione che ne ho ricavato personalmente è una noiosa collezione di sintomi psicosomatici che mi ha reso faticosa la lettura.
Voto in stelle anobiane: 3
Aggettivo: ripido
Curiosità
La trama e i personaggi, ricalcano con pochi scarti quella che fu la biografia dell'autore.La trattoria del padre era effettivamente ubicata sotto l'Arco de' Rossi ed esiste tuttora. Ai tempi della mia giovinezza era il ristorante " Il medioevo", in cui, ignara, ho messo piede più di una volta.
Il padre, era effettivamente un elemento violento e prevaricatore, inteso a schiacciare la personalità del figlio, che cercò salvezza negli studi, con esiti peraltro disastrosi, all'istituto tecnico e all'istituto d'arte. La formazione di Tozzi fu quella di un autodidatta che divorava libri alla biblioteca degli Intronati, dove io stessa mi recavo talvolta a studiare ai tempi dell' università. Persino il personaggio di Ghisola corrisponde in parte a quello reale di Isola, una giovane contadina "assalariata" nel podere del padre, e che fu il suo primo, tormentato, amore e in parte a quello di Emma, la moglie di Tozzi, le cui nozze con l'autore vennero implacabilmente osteggiate dal padre castratore, al punto che poterono celebrarsi solo dopo la morte di quest'ultimo.
Miglior personaggio.
Vorrei ricordare Anna, la madre di Pietro, un'orfanella sposata dal padre per aiutarlo nella conduzione della trattoria. Anna è devastata dalle sette gravidanze mai andate a buon fine fino all'arrivo dell' "inetto" Pietro, che si tiene vicino e cerca di proteggere dal padre, senza peraltro riuscire nel suo intento e senza neppure trovare consonanza nel modo di sentire e un autentico rapporto di affetto con il figlio.
Un personaggio di perdente come in fondo lo sono tutti quelli che popolano questa opera.
Scena clou:
Probabilmente è quella in cui recitano, in contesto rurale, i tre protagonisti. Pietro trova il coraggio di approcciare Isola, lei lo prende per mano e lui si sente sciogliere di contentezza e pensa di essersi mostrato finalmente a lei come un uomo maturo. In quel momento arriva il padre che ordina a Pietro di preparare il calesse, lui incespica, si intriga fra le redini del cavallo, si lorda della sua saliva impigliandosi nel morso, e infine subisce anche l'umiliazione di essere soccorso nell'operazione dalla ragazzina del cuore.
CONSIGLIATO a chi vuole conoscere un autore senz'altro di valore ma non troppo popolare; a chi ama le atmosfere veriste e ama scandagliare i moti dell'animo dei personaggi. Consigliato anche a chi, come me ama immergersi nelle atmosfere, nelle usanze e nelle credenze dei suoi avi, in particolare a tutti i senesi.
SCONSIGLIATO a chi non ama la prosa di Saramago, perché la trova faticosa a causa della punteggiatura.
...ContinuaNon è certo la Toscana da cartolina, quella che emerge da questo e dagli altri romanzi di Tozzi: ma quella, aspra di una selvatica bellezza, delle campagne e dei borghi rurali, degli orti e delle vigne rigogliosi del sudore degli uomini; di città umide e polverose nella loro austera antichità, soffocanti di una storia che protrae, alla vigilia dei grandi sconvolgimenti che travolgeranno e cambieranno l’Italia e l’Europa, un sistema di padroni e sottomessi, di ricchi e poveri.
Un destino, quello di dover chinare la testa, a cui sembra di non poter sfuggire: è il destino di Masa e Giacco, gli assalariati di Poggio ‘a Meli, che l’incombente vecchiaia espone al terrore di divenire inutili, di essere buttati via come accade al vecchio Toppa, il cane da guardia; è il destino di Ghisola, la maliziosa e ribelle nipote, colpevole solo di essere giovane e prepotentemente femmina, il suo vanto e la sua dannazione, senza potersi sottrarre al suo destino di serva.
É il destino di Pietro, sensibile e insicuro figlio, prima bambino poi adolescente e giovane uomo, di un padre, l’oste Domenico, fin troppo energico e volitivo: incapace di soddisfare le aspettative del padre, incapace persino di portare fino in fondo le scelte fatte in un timido ma cocciuto tentativo di autodefinizione contro il modello paterno (gli studi d’arte e la breve militanza nel partito socialista), Pietro riversa tutto se stesso e ogni sua speranza di riscatto nell’amore per Ghisola, che egli sogna puro, tenero e capace di farlo alla fine uomo. Egli fa di Ghisola il proprio feticcio, e non è in grado di reggere alla prova dei fatti: la sua madonna è in realtà una povera donna costretta a vendersi dalla miseria e dalla disillusione, pronta a spacciare come figlia del suo fidanzato-padrone il frutto di un precedente concubinato.
Molto si è scritto sui tratti autobiografici di questa storia; pur riconoscibili, essi nulla tolgono alla costruzione di due personaggi potenti nelle loro fragilità, le cui azioni li portano ad impaniarsi in situazioni senza apparente via d’uscita, vittime di forze ignote sia esterne (sociali) che interne (psicologiche) che però l’autore non definisce, ma lascia trapelare dietro gesti e comportamenti spesso inconsapevoli, trasognati, come quando Ghisola bambina prova l’improvviso impulso di schiacciare la testa alla nidiata di uccellini che stava amorevolmente accudendo, o come quando il protagonista, dagli occhi chiusi come dice il titolo, non si accorge che lo stabile fiorentino in cui l’amata si è riparata in stato avanzato di gravidanza è una casa da appuntamenti.
Mirabili le descrizioni d’ambiente e di paesaggio, a tratti serenamente distante, a volte pervaso da inquietudini tutte umane.
Il non detto, i vuoti da riempire più densi dell’inchiostro stesso, il linguaggio piano ma comunque storicamente connotato, rendono in ogni caso la lettura impervia e necessitano di lentezza e giusti tempi di sedimentazione. Un sacrificio da fare, comunque, per emendare al torto subito da autori impropriamente considerati minori.
Erano qualcosa come sette-otto anni che m'ero ripromesso di leggere Tozzi...
Da che, nel Segre-Martignoni (LA antologia per antonomasia), ne avevo letto le informazioni essenziali, sottolineato quelle che più mi servivano per imbastirci su una conoscenza sommaria, e andare avanti a preparar l’esame.
Però m'aveva colpito e m’era rimasto in mente per due motivi:
- un'antologia di racconti che aveva pubblicato (e che v'invito a leggere) dal titolo di "bestie" e che è una piccola meraviglia dimenticata, dentro alla quale storie di uomini miserabili si tiran dietro bestie miserabili che fan cornice e addolcimento e struggimento e via discorrendo.
- la sua fotografia. Ce ne saran rimaste quattro o cinque di lui, ma per le antologie e i libri scelgon sempre la peggiore, quella con due occhi pesti e illanguiditi, con lui che era prossimo ad andar via per sempre, senza sapere che cent’anni dopo saremmo rimasti qua a leggerlo ancora.
Difatti non se l'è filato nessuno per anni. Forse per quella scontrosità toscana che irrora questa sua prosa ai limiti del nichilismo (esistenziale e letterario). Si tratta di una prosa grossolana, arresa e tragica come per tener dietro a un filone poetico "crepuscolare" ma senza inciampar dentro il loro lirismo "petrarchesco" (come lo definirebbe Sanguineti), anzi: mutua una frammentazione e un’asprezza dello stile molto simile ai vociani: a Boine, a Slataper, a Sbarbaro; una prosa che parla per immagini, con un tono sbrigativo e forastico, netto, ultra-realista. Una prosa che funziona a “frantumi”.
È assimilabile a quel che farà Pavese con "la luna e i falò" almeno trent'anni dopo, spurio però del discorso più politico: cercar di mostrare l’incattivimento della povera gente, la sua esagerata umanità, la tensione al sopravvivere più che al vivere - la rassegnazione alla propria condizione; e la crisi dei giovani, che non trovano posto in questo quadro.
Per capirsi, pensate ai quadri di Isräels, a quel dolore lacerante che danno quei vecchi in cenci, accoccolati di fronte a focolari mezzi spenti in case diroccate; è assimilabile a questo romanzo, a questa poetica. La gran descrizione dei poveri che grattano alla porta dell’osteria del Rosi, la storia del cane, gli scorci paesaggistici nei quale il protagonista per soffermarsi per rimandare il finale…
È forse uno dei libri più tristi che abbia mai letto.
Questo romanzo esce sei anni dopo Canne al Vento di Grazia Deledda, ci è passata una guerra fra miserabili di mezzo.
Si vede.
In definitiva, perchè poi divento emotivo e non va bene, la mia posizione m’impone diverso animo:
leggete Tozzi,
imparatelo
è probabilmente uno dei romanzieri che con più abilità s’è prodigato a dar dignità letteraria alla realtà più miserabile, senza filtro, senza luci accecanti, senza abbellimento, senza cercar la nostra pietà o compassione.
Se la lettura vi sembrerà ostica, continuate, scalar le rocce appuntite è cosa dura, ma ne val la pena.
...ContinuaNon credo sia imperdibile dal punto di vista dei contenuti; né aiuta la prosa spezzata e sempre oscillante dall'uno all'altro punto di vista.
Ho trovato apprezzabile e attuale l'indagine del rapporto di Pietro con i genitori; quella rassegnata e larvata violenza che striscia anche in molte famiglie d'oggi ed è causa e prodotto dell'incertezza e inconcludenza giovanile.
...Continua