Citazione.
(Dove il protagonista discute animatamente con la sua aiutante e segretaria)
(Lei) -Penso che se qualcosa deve accadere, accadrà.
(Lui) -Io no. Io credo che la volontà umana, se sorretta da una mente ferma, può avere un certo controllo sugli eventi. Se non la pensassi così non avrei scelto questa professione.
-Il mondo è una macchina, no? Causa, effetto... La statistica indica la prova...
-La mente umana non è una macchina e io non conosco causa ed effetto. Nessuno li conosce.
-Lei è laureato in chimica, se ben ricordo. Uno scenziato, dottore.
-No, io sono un deviazionista trotzkista - disse Render, sorridendo e stirandosi. -E lei una volta era insegnante di danza classica...
-
Condivido molto le idee anti fataliste e contrarie a una certa dittatura nichilista, che vorrebbe sempre una certa ineluttabilità degli eventi, di Zelazny; inoltre non sono d'accordo per niente con quanti lo tacciano di essere indisponente e di esibire una pretesa cultura che in effetti non possiede. Io credo, al contrario, che Zelazny sia uno che di cultura ne ha parecchia e per nulla raffazzonata; uno scrittore coi fiocchi, più di tanti "mostri sacri" - spesso problematici e maledetti - e puntualmente osannati a comando di questo o quell'altro critico carismatico.
Peccato però che gli ingranaggi della storia, dal punto di vista della narrazione, si inceppino abbastanza spesso. Forse il peccato di Zelazny, in questo romanzo, è quello di voler essere più originale del peccato.
Libro comunque consigliato.
Scritto male, ostentando saccenza ogni due righe (chi è che parla per citazioni di Platone gratuite? Chi è che andando a sciare cita le Coefore per farsi due risate). Poco dopo sarebbero arrivati Ballard, Gibson, Dick, che hanno creato libri molto superiori sullo stesso filone.
Il finale è credo la parte migliore di tutto il libro. Ma sarebbe stato un ottimo inizio per il racconto, piuttosto che la sua fine (cioè, praticamente finisce appena inzia a succedere qualcosa a livello di trama).
Un interessante esempio di fantascienza “psichedelica”, sia per il contenuto che per lo stile sperimentale. Nel futuro immaginato da Zelazny nel 1966 esiste una tecnologia che permette di mettere in contatto i contenuti psichici di due menti diverse. Charles Render è un Formatore, uno psicoterapeuta in grado di creare lo scenario per dei sogni molto vividi in cui accompagnare il paziente. Eileen Shallot è una psichiatra cieca dalla nascita che vuole imparare da lui la tecnica della Formazione, con l’intento non troppo celato di riuscire a vedere grazie all’esperienza della neuropartecipazione. Render accetta questo ambizioso incarico, che porterà a delle conseguenze inquietanti.
Il signore dei sogni è Zelazny, per il suo lirismo che si esalta nella evocazione dei paesaggi onirici, la cui limpidezza si contrappone al grigiore di un mondo perennemente avvolto nella nebbia e coperto dalla neve, popolato da un umanità impaurita, smarrita e ripiegata su sé stessa. Peccato che la narrazione sia un po’ artificiosamente infarcita di citazioni erudite, contorte digressioni di carattere psicoanalitico ed altri passaggi oscuri che appesantiscono la lettura e tradiscono forse l’ambizione di voler emancipare la fantascienza dal ghetto della letteratura di genere. Il romanzo è breve, il finale un po’ prevedibile arriva molto presto e non lascia tempo per approfondire la conoscenza di un paio di personaggi interessanti quali il cane-mutante di Eileen ed il figlio di Render.
Trovo che Philip Dick abbia esplorato negli stessi anni delle tematiche affini, con stile meno elegante ma più fruibile, e con maggior profondità.
Uno dei peggiori libri che abbia mai letto. Un romanzo in cui tutto è pessimo e senza capo né coda, con uno stile di scrittura da ingessarti le ginocchia e una spocchia fastidiosissima che non riesce a celare il desiderio dell'autore di mettere in mostra tutta la sua (sterile) erudizione.
L'esperienza dura una sessantina di - peraltro non entusiasmanti - pagine, nelle quali c'è almeno una leggera spolverata di coerenza ma, da lì in avanti, è una discesa negli inferi del nulla: capoversi senza senso, personaggi risibili, pipponi memorabili completamente fini a se stessi, pesantezza carrarmatesca, ritmo sotto zero, pomposità alle stelle e un finale di rarissima bruttezza che probabilmente nemmeno l'autore ha capito.
Davvero, se Zelazny (non ho mai letto nient'altro di suo, ma credo che difficilmente lo farò) ha scritto questa roba ed è stata pure pubblicata, allora c'è speranza per tutti. Fatevi sotto novelli romanzieri, su le penne whisful thinkers dell'arte dello scrivere, questo è il vostro momento! Pubblichiamo tutto, anche senza esperienza, astenersi perditempo. Anzi, no, pure i perditempo.
...Continua