Mi fa piacere sapere che non sono l'unico ad essere rimasto perplesso. Nonostante alcuni aneddoti storici interessanti non ho provato piacere nella lettura. Questo credo sia in definitiva l'unico peccato mortale che può avere un libro, il non vedere l'ora che finisca.
Il fatto è (come è già stato segnalato da altri) che manca il "romanzo", c'è solo la storicità aneddotica e il dichiaratissimo sentimento anticlericale (forse un sentimento troppo facile da dichiarare... o almeno è troppo facile farlo in maniera così retorica e trita). Però mi viene da dire: se ciò che andiamo cercando in un libro è la Storia allora basterà acquistare un libro di Storia. Se quello che vogliamo è un romanzo allora è tutta un'altra cosa. I Promessi Sposi non sono un libro di "Storia", sono un romanzo. Ecco perché ha scavalcato i secoli ed ecco perché tutt'oggi molti litigano e si scandalizzano parlando di Manzoni. Ma qui manca solo un piccolo dettaglio: la forza della narrazione.
Romanzo storico ben documentato e dotato di una prosa raffinata, non così comune negli scrittori in voga da metà Novecento in poi. Purtroppo, per come la vedo, i pregi terminano qui.
Dal punto di vista narrativo, la storia è piatta come la pianura in cui è ambientata, e totalmente priva di climax; esistono romanzi che, pur anticipando l'evento clou della vicenda riescono a mantenere un notevole effetto di tensione e di sorpresa (mi vengono in mente almeno un paio di opere di Gabriel Garcia Marquez), ma non è questo il caso. Il romanzo è costituito principalmente da divagazioni sulla situazione sociale e politica del tempo, o sulla biografia dei vari comprimari; di solito questo metodo narrativo è noioso, ma il Vassalli è bravo a renderlo interessante. Tuttavia emerge quasi esclusivamente la natura gretta e malvagia di tutti i personaggi, mancando ovunque quella umanità che aiuterebbe il lettore se non altro a provare un po' di empatia. La stessa protagonista è così sfocata da non muovere in alcun modo a immedesimazione o interesse, e la sua animosità contro l'ordine costituito è, a mio parere, scarsamente supportata dalla sua storia personale.
Una pennellata alla volta, fino all'ultima pagina, l'autore definisce il quadro generale del romanzo, ossia un disegno della non esistenza di dio e di come la Chiesa agisca empiamente in suo nome. Sebbene questo costrutto possa riuscire affascinante ed efficace per chi ha gusti più semplici, a mio parere il risultato complessivo è goffo e caricaturale e fa quindi danno a chi voglia davvero far vincere la ragione e la chiarezza sulla bigotteria.
In tutto ciò, è più probabile che non abbia capito niente io: premio Strega (un romanzo con protagonista una strega? Ironia della sorte!) e premio Napoli nel 1990, considerato un capolavoro a distanza di anni; chi sono io per disprezzarlo? Leggendo alcuni passaggi isolati dal contesto concordo sull'indubbia qualità letteraria; ma è la visione d'insieme che trovo totalmente non convincente.
Ci sono libri che restano. Chiariscono le idee, vanno rivisitati con costanza. Ridimensionano tutte le letture , propongono un giudizio sul mondo in modo perentorio. Ti impongono di essere selettivo : questo è un libro che ti fa venire sensi di colpa al pensiero di tante letture inessenziali.
...ContinuaIl mio parere non è pienamente positivo.
Ho letto questa storia e per tutto il tempo ho desiderato che fosse raccontata in maniera diversa. Sì, avrei voluto scoprire la storia di Antonia... ma leggendola in una scrittura completamente diversa.
Mi spiego: la vicenda del Seicento è narrata da una voce dichiaratamente contemporanea (che si sovrappone all’autore stesso), che ricostruisce, quasi a mo’ di documentario per la tv, in uno stile che a volte sfiora lo scanzonato, gli eventi che hanno portato la giovane Antonia a essere accusata, e poi condannata, di stregoneria.
Sono alcuni elementi di questo stile a non aver incontrato il mio gusto e ad avermi impedito di apprezzare appieno l’opera. Forse è l’atteggiamento simil-manzoniano (un po’ troppo simil?), forse è il distacco troppo netto che il narratore pone tra sé e la storia – un distacco che a mio parere pregiudica la resa del racconto, che pare scivolare via sotto le parole del narratore, rimanendo inafferrabile al lettore, perché visibile solo per quadri, pezzetti, riflessi. Certamente era questo l’intento dell’autore – offrire del ritratto di Antonia solo le grossolane pennellate che nel tempo sono rimaste – ma a me, personalmente, questo stile ha lasciato un senso di inappagamento. Ci sono tanti capitoli di affreschi paesaggistici, tante digressioni su personaggi storici ma pressappoco secondari alla trama, e poca indagine del fatto in sé – che pure è assai intrigante (i processi alle streghe lo sono sempre!).
Fastidiose le innumerevoli parentesi che traducono lemmi abbastanza intuitivi del dialetto piemontese.
Nel complesso, probabilmente anche perché abituata a libri diversi, questa lettura non mi ha entusiasmata.