Niente recensioni, solo un rapido appunto:
Lagioia di solito non mi piace, ne consegue che qui - che si contiene in uno stile molto giornalistico e asciutto - non mi è dispiaciuto.
Il libro non mi pare un capolavoro, da nessun punto di vista, ma offre degli spunti di riflessione interessanti, tant'è che ha dato vita, tra un gruppetto di lettori di cui mi onoro di far parte, a una discussione molto accesa e sfaccettata. Con cui si è guadagnato la mezza stellina sopra la sufficienza.
Ricostruzione di un fatto realmente avvenuto nel 2016, nella periferia Romana, che vede coinvolti tre giovani: due assassini, Manuel e Marco, e una vittima, Luca, seviziato e ucciso senza ragione.
Ne sapevo poco della vicenda, a suo tempo non l'avevo seguita attraverso i vari mezzi di comunicazione.
Meglio così perché, non so come altro dire, leggendo il libro mi sono sentito, seppur privo di morbosità - a onor del vero, fortunatamente anche Lagioia non insiste su questo aspetto -, un guardone che osserva per proprio diletto una tragedia in casa d'altri senza averne il diritto. Per giunta una tragedia priva di motivo.
Inizialmente avevo messo una valutazione di 3 stelle, ma poi mi sono chiesto Ma Cosa sto valutando? Il libro o il fatto di cronaca che racconta?
Non sono riuscito a scindere le due cose, scusate.
Mi spiace non esser riuscita a scrivere a caldo quello che questo libro mi aveva smosso, perché mi rendo conto, adesso, che sono passate due settimane, che tutto si è sopito, purtroppo è stata pure una scelta mia consapevole perché temevo di essere troppo pesante e di “pancia” e volevo essere più pacata, più razionale - cosa che devo ricordarmi di non fare mai più e continuare a buttarmi di getto in tutto, sempre, vita compresa.
Ho scelto di leggerlo perché diversi elementi mi attraevano tantissimo:
la fama di Lagioia
gli elogi a questo libro, letti in rete, da quasi tutti
un fatto di cronaca molto recente che mi incuriosiva vedere come veniva rielaborato da uno scrittore ritenuto di un certo livello (del caso in sé mi interessava poco e nulla, se non quel poco che ho letto a suo tempo – amo la criminologia, ma non il voyerismo, sinceramente -.)
Un libro che non ha soddisfatto, una, dico una, delle mie aspettative.
Un libro che mi ha deluso e infastidito profondamente.
Unico pregio, si fa per dire, si fa divorare.
In certi momenti il ritmo incalzante, ipnotico, per me è fondamentale, perché mi porta lontano dai miei pensieri, dalle cose che in quel momento mi opprimono, potessi andrei a farmi una bella corsa come negli anni della giovinezza, ma non posso, quindi mi butto su altro che mi annienti il logorio della mia mente e certi libri sono ottimi strumenti. Questo lo è. Lo inizi e non smetteresti mai di leggerlo.
Peccato però che non è una peculiarità di qualità, per me, questa caratteristica. E' solo un buon ritmo di annientamento mio mentale. Nei thriller è fondamentale, cerco adrenalina. Cerco annientamento, sono storie che voglio che mi annullino, forse un po' come da ragazzina gli horror che mi tenevano incollata alla tv.
Ma questo libro non è un horror, non è fiction, non è invenzione, è un fatto di cronaca terribile che ha distrutto quattro famiglie (si dice tre, le famiglie dei due assassini e della vittima, ma non credo che la famiglia della fidanzata di Varani, ne sia uscita leggera, felice e allegra). Un escamotage letterario che ti porta a dimenticarti che stai leggendo una storia vera e non un buon thriller. Una storia vera, dove genitori, amici e fidanzata sono ancora vivi e a 5 anni dal delitto, immagino ancora immersi in un dolore che per alcuni di loro non avrà mai più fine.
Questo è ciò che mi ha portato ad avere un fastidio profondo per come si è scelto di raccontare il tutto. Un racconto morboso, voyeristico, dove si è andati a riportare in modo pedante particolari inutili, dove ci si è ostinati a voler raccontar nei dettagli tutto.
Era necessario? Secondo me no.
Per carità, ottimo lavoro da parte di Lagioia, un lavoro certosino, che in una tesi compilativa avrebbe avuto un ottimo voto, ma assente di una profondità di sguardo, di analisi, di rielaborazione del tutto. Ossia quello che cercavo io.
Cosa mi interessa una ricostruzione pedante – che vuole passare per oggettiva, quando poi si sente benissimo che si è preso le parti di Prato e si giudica, invece, la vittima, dove per Prato si arriva a empatizzare e invece per Varani, no?- che potrei recuperar facendomi una ricerca in rete? (Apritevi i video su youteber sull'argomento e vi ritroverete poi gli stessi riportati nel libro, così, tanto per dire).
Avrei apprezzato un romanzo ispirato al fatto di cronaca, dove lasciar credere, intendere, che magari i particolari morbosi, i dettagli inutili, potessero essere frutto di fantasia e non reali, perché? Per rispetto di chi ancora è vivo.
Avrei apprezzato che la vicenda – conosciuta da tutti e facilmente recuperabile on-line – fosse stata raccontata in meno pagine, per dare spazio alle riflessioni dell'autore, perché per me questo è ciò che da senso a un'operazione del genere calandola, nel caso, nella Letteratura. Mi è sembrato di leggere un reportage di un rotocalco pomeridiano, una di quelle cose squallide che va a cercare il marcio restando nella superficialità più superficiale (ci vole Lagioia per dire che il male alberga in tutti noi, che potremmo essere tutti ipotetici assassini? che spesso i figli di papà che hanno soldi sono persone profondamente infelici? Che i rapporti genitori\figli possono creare personalità di vario genere tra le quali pure assassini?).
Vogliamo parlare di come sia pedante la Roma infestata da topi e gabbiani? Come sia banale vedere il paesaggio come riflesso di un malessere omicida?
E l'olandese?
Ci sarebbe da parlare della parte di autofiction, ma spoilererei l'unica cosa che forse non sapete, ma che, sempre assolutamente secondo me, sembrano più un pretesto per voler dare un senso profondo a un'opera che in realtà non c'è.
Non sappiamo mai tutto fino in fondo delle persone che amiamo.
Noi non lo sappiamo - l'avvocato sorrise a sua volta - ma lo sa magari Facebook.
Sono perplessa.
Il libro è approfondito, il lavoro di ricerca è stato sicuramente tanto, tantissimo. E scorre bene, pur con qualche divagazione che ho trovato se non di troppo quantomeno inutile (la sottotrama del "turista" - a che serve? E pure gli appunti personali sull'autore, boh, sarò solo io, ma ne facevo anche a meno).
A tuttavia non vedevo l'ora di finirlo, di "chiudere la pratica", di lasciarmelo alle spalle. Non mi vergogno di dire che alcune pagine le ho pure saltate a piè pari; non ho necessità di conoscere i dettagli del delitto (e Lagioia comunque non eccede assolutamente con descrizioni e sangue, gli riconosco il rigore utilizzato nel descrivere gli ultimi momenti di vita di Luca Varani).
Lagioia scrive il suo "A sangue freddo", pur non arrivando - secondo me - allo stesso livello di Capote.
Non per mancanza di capacità, credo, ma perchè i tempi sono molto diversi, anche se le storie, in fondo in fondo, hanno parecchio in comune.
Mi preoccupa un po' di aver provato sinceramente pena per i due assassini, sopratturo Marco Prato, la cui figura resta per molti aspetti non comprensibile e non chiarita. E del resto col suo suicidio ha scritto la parola fine non solo sulla sua versione del delitto, ma anche sulla vicenda di cronaca, anche se ci saranno sicuramente altri livelli di giudizio e conseguenze, anche nei prossimi anni.
Senza dargli valenza di studio sociologico (o come si dice), descrive bene una gioventù allo sbando, i cui valori sono inesistenti o comunque incapaci di porre un freno a una deriva morale che sembra sommergere tutto e tutti. Non credo (spero almeno) sia una descrizione a tutto tondo di quella generazione (altrimenti saremmo allo sfascio totale) ma certo è un campanello di allarme. Da leggere, con cautela e se ci si sente bene. Non credo lo rileggerò, soprattutto per tutelare il mio umore che, al momento, è tutto sommato discreto
...Continua