caro Nicola, sei bravissimo in radio, ma come scrittore tiri a campà. fotocopia la ferocia e pubblica
La cronaca raccontata dalla letteratura. Un libro molto forte e molto, molto bello...
https://tulliobugari.wordpress.com/2020/11/25/il-sortilegio-questo-sconosciuto/
I precedenti ovviamente non mancano. Ma più che "A sangue freddo" di Truman Capote, questo "La città dei vivi" potrebbe far pensare a "Compulsion" di Meyer Levin. Sia per i fatti in sé, indipendenti dal romanzo - "Compulsion", infatti, ricostruisce l'omicidio "perfetto" perpetrato da Richard Loeb e Nathan Leopold, senza alcun vero movente, negli anni '20 e il processo che ne è seguito, che ruotò attorno alla pena di morte e all'omosessualità dei due ragazzi -, sia per l'idea di Levin secondo cui l'omicidio così insensato e violento fosse la manifestazione di una malvagità e inumanità che si sarebbe poi concentrata nell'ascesa del nazismo. Ma anche per quanto riguarda l'Italia, possiamo trovare dei precedenti. Uno, il mai dimenticato troppo velocemente "La scuola cattolica" di Albinati sull'omicidio del Circeo - con cui l'autore era andato a scuola insieme a uno dei colpevoli -, ma soprattutto "Dogman", il film di Matteo Garrone che è basato sul delitto del Canaro. Ora, se ovviamente, "Dogman" è estremamente più romanzato rispetto a "La città dei vivi", romanzo-reportage, tanto che del delitto del Canaro ne rimane giusto la struttura - dove un uomo vessato da una specie di piccolo capò di quartiere, finisce per torturarlo e ucciderlo - ciò che accomuna "Dogman" e "La città dei vivi" è la loro visione psico-geografica, con al centro in una sineddoche Roma per entrambi. Completamente irriconoscibile e privata di ogni nome, trasfigurata in un vero e proprio non-luogo in "Dogman", costantemente nominata e d'una geografia precisissima e maniacale in "La città dei vivi".
Lagioia, fin dalle primissime pagine, descrive Roma e il suo declino, come se fosse un cadavere che si rifiuta costantemente di morire: "se la città era davvero eterna non poteva esistere un passato, non esisteva di conseguenza un presente da rispettare, né un futuro di cui prendersi cura". E' in questo inter-regno, letteralmente il Mondo di Mezzo di Mafia Capitale, che una malvagità diluita e dilagante, rischia di concentrarsi ed esplodere - e lo fa. "Era come se un aumento improvviso della massa tutt'intorno portasse il tempo a rallentare fino a sfiorare una stasi dove non c'era quiete, ma solo idiozia, solitudine e disperazione". Per questo, Lagioia accanto al reportage principale, lascia molto spazio alla descrizione del degrado cittadino e alla visita di un turista olandese pedofilo. Ovviamente, Lagioia non sta sostenendo che il delitto sia colpa della città, anzi, si interroga spesso su quanto sia sottile il fascio di luce che ci separa dall'ombra - tema che era ricorso pure ne "La scuola cattolica" di Albinati. E', se vogliamo, un po' come la frase di Shakespeare: "this violent delights have violent ends". Solo che nulla finisce veramente a Roma. Ma si ripete e ripete e ripete.
Detto questo: è riuscito per me questo romanzo-reportage di Lagioia? Boh, per me no.