Manca sempre qualcosa alla perfezione.
https://www.incipitmania.com/aut-s/savatteri-gaetano/la-fabbrica-delle-stelle-gaetano-savatteri/
Non ho letto nulla delle prove letterarie di Gaetano Savatteri, ma ho imparato a conoscerne la scrittura in alcuni (due) racconti letti nelle antologie di Sellerio. Con al centro il personaggio del giornalista-investigatore Saverio Lamanna. Letture scorrevoli, con punte ironiche a me confacenti. Per cui, non nego il piacere sottile di leggere il primo romanzo con al centro il buon Saverio. Che si rivela gradevole come i racconti, anche se la misura “libro” ancora non è ben gestita. A volte si cade nell’ironia un po’ fine a sé stessa, tanto per sollevare l’animo ed il sorriso, altre sembra arenarsi la capacità inventiva, per cui si cade in momenti (per fortuna non lunghi) di inutili arzigogolature. Ma nel complesso un libro piacevole, che score via come un prosecco leggero per un antipasto di pesce. Come nei racconti, fortunatamente, c’è tutto il corredo del “lamanninsmo”: oltre a Saverio, su cui si ritorna, c’è Suleima, la bella forse fidanzabile, e c’è Peppe, il suo alter-ego ruspante, che dona tocchi di vivacità al testo, e che spesso riesce a riportare Saverio sulla terra. Seppur inserito nella collana “Noirissimo”, è più un racconto lungo d’atmosfera, dato che il giallo in sé si liquida in poche battute, un po’ scontate forse. Così come il gialletto di contorno, la scomparsa del figlio di un amico di Peppe, che poi, essendo maggiorenne, se n’è solo andato via da una famiglia un po’ troppo teledipendente. Ma torniamo al giallo centrale. Saverio, licenziato da una sicumera ministeriale perché non riesce a stare zitto, e tornato nella villaggevole Makari dell’infanzia, dove trova appunto il Peppe, mentore e marinaio, e Suleima, laureata bolzanina in trasferta, cameriera e presto accolta con reciproca soddisfazione nel letto di Saverio. Alla ricerca di soldi, Saverio accetta di fare da guardia del corpo alla bella e ricca Gea, produttrice di film impresentabili, con la sua corte di gente “fuori”: l’ex-fidanzato manesco Alo Pereira, la segretaria tuttofare Arianna, il press-agent gay Enzo. Quindi con Peppe, la nostra coppia si trasferisce al Lido, ma non riesce ad impedire né prima un paio di ceffoni di Alo a Gea, con Alo che poi si allontana con la sua nuova fiamma, la lungagnona Irene, né tanto meno la morte di Gea. Tutti gli indizi sono contro Alo, ma i nostri, forti di piccoli ragionamenti e di una foto scattata nella deserta Poveglia (isoletta di fronte al Lido verso Malamocco, per i non veneziani), ricostruiscono facilmente il vero andamento della serata, assicurando alla giustizia chi di dovere. Premesso che con facili ragionamenti, una volta presentati gli attori sulla scena, se c’era un morto, già si sapeva chi fosse stato a manovrare il posacenere fatale, ovvio che non è questo che interessa noi, Saverio o Gaetano. A tutti interessa l’atmosfera. Italiana, con le giuste considerazioni sullo sfascio cui stiamo arrivando (ed a tre anni dalla scrittura, caro Gaetano, stiamo di certo peggiorando). Ma anche qualche bella tirata sul finto bel mondo della quinta arte, magistralmente presa in giro dal nostro Peppe, acclamato “fashion star” quando si presenta in smoking e hawaianas sul red carpet. O la storia del film di Gea, intitolato “Nutellah (con l’acca) Dark Party”, che quando Saverio cerca di raccontarci la trama ne capiamo meno di quanto viene scritto sulla carta. Con attori improbabili, come appunto l’Alo di Gea (che, con facili battute, quando vuole scagionarsi, Saverio l’apostrofa con lo scontato “Sostiene Pereira…”) o Amandina, americana scosciatissima. E registi birmani incarcerati in patria. Con giornalisti vaganti in cerca di scoop, ex o quasi di Saverio, come la buona Marina che si perde per lo sgangherato Peppe (anche se poco ricambiata) e la sua amica Fiorenza, che vorrebbe adescare Saverio, ma quando compare all’improvviso Suleima non c’è più storia né tette che tengano. Savatteri è gradevole per me in quel suo divagare e connettere frasi con altre reminiscenze, che mi ricordano le gare di canzoni d’antan con la mia amica Grazia in un viaggio di una dozzina o più di anni fa. Dicevo delle battute alla Savatteri. Che ovviamente mi ha copiato. Come ad esempio quando, dopo un lungo girovagare, incontra di nuovo Marina nel ristorante “Corte Sconta” (e salutatemi Hugo Pratt), questa lo guarda e gli dice “Ancora tu?”, e Saverio non può che rispondere: “Ma non dovevamo vederci più?”. O la tiritera su quanto sono sfortunati i veneziani (o i romani) a nascere in un posto così bello ed averne gli occhi pieni, mentre se uno nasce a Gela o a Palma di Montechiaro, arriva a Palermo e si riempie gli occhi e la mente, dicendo ma che bella città (anche escludendo mondezze e degradi vari). Al fine, una menzione per la frase che riporto, e che di colpo mi ha riportato a 42 anni fa, quando proprio in quel di Triscina si stava con Mario, Corradino, Giuzzo, Robertino, Luciano, Cesare, e tanti altri che non menziono ma che ricordo ad uno ad uno. Loro sanno il perché. Ed io li abbraccio, ora e sempre.
“Un mese e mezzo fa, dopo una litigata al largo di Triscina…” (49)
Ingredienti: una coppia attira-delitti di amici siciliani, una trasferta alla mostra del cinema come addetti stampa-guardie del corpo, una “morte a Venezia” tra star hollywoodiane, un caleidoscopio di citazioni letterarie e musicali in cui perdersi piacevolmente.
Consigliato: a chi vuol recitare deridendole le più banali litanie dei luoghi comuni, a chi vuol indossare mille definizioni fashion della Sicilia.