Questo libro mi è sembrato una piattaforma di spunti da cui partire per raggiungere ragionamenti lontani e complessi.
Al tempo stesso l'ho sentito come una catena di collegamenti storici, logici o metaforici che dipanavano un ragionamento che cercava di collegare spunti (o citazioni) ampie, con grandi tappe di cui alcune sono : l'intorno della Rivoluzione Francese, l'atlantide africana, il concetto di sacrificio, Marx e Stirner, la letteratura. Potrebbe essere l'indice di un catalogo editoriale , un elenco di altre pubblicazioni da seguire. Alcuni spunti spiccano per chi ha già letto dei lavori di Calasso e sembrano incastonati nella pagina come promesse di prossime pubblicazioni. Promesse mantenute.
Libro non facile: eufemismo, in cui è facile perdersi: confesso di essermi perso più volte, che potrebbe essere stigmatizzato facilmente: erudizione fine a se stessa per indorare un pensiero conservatore o, definizione più grottesca ma ancora in auge, reazionario. Perché Calasso racconta il mondo occidentale, ovvero le sue debolezze e acrobazie di linguaggio, dopo la Rivoluzione francese. Trovo ingeneroso accusarlo di reazione: non rimpiange, Calasso; soltanto, mostra.
Sarebbe facile adoperare per La rovina di Kasch un’altra definizione abusata e grottesca: profetico. Se, a trentacinque anni dalla pubblicazione, lo avvertiamo come attuale, questo non dipende da una potenza divinatoria dell’autore. Al contrario: è frutto di una lucidità, la capacità di Calasso di leggere la Storia su periodi ampi. Quando oggi non è una conseguenza di ieri soltanto, ma di processi e istanze ben più vaste, la prospettiva è il decennio o il secolo, è più facile fare ipotesi plausibili su domani, valutando un andamento di cui non si possono prevedere con precisione precognitiva picchi e avvallamenti, ma di cui è possibile indicare la linea di regressione.
Nonostante il caleidoscopio di riflessioni, temi, divagazioni, l’eccesso di personaggi coinvolti (Pascal, Dostoevskij, Stirner, Marx, Baudelaire, Chateaubriand, Sainte-Beuve…) sono due linee, incrociandosi, correndo affiancate, allontanandosi, ancora intersecandosi, a formare la struttura da cui, se al lettore sprovvisto dei riferimenti di Calasso non è concesso di comprendere tutto, si possono trarre almeno due idee che più delle altre risuonano.
Più che gli atti stessi, nella politica è decisivo il tempo in cui gli atti si compiono. Politico è colui che ha il tempo dalla sua parte.
Talleyrand, ovvero la coerenza nel trasformismo. Non è una provocazione intellettuale, un calembour. Calasso espone la sua tesi, per dichiarare la sua preferenza a chi si adegua al tempo, lo previene, pone il sigillo all’avvenuto rispetto a chi impone una volontà, semplificando: Napoleone.
Non opportunismo, ma modo di governare il tempo e la Storia non contrapponendosi alla volontà, sarebbe impossibile, ma facendo il possibile per governarla: la volontà, e qui a Calasso bisogna fare atto di fede oppure restare non convinti, ma per confutarlo bisognerebbe trovare argomenti forti quanto i suoi, la volontà porta rivoluzioni con terrori, guerre con massacri. Non è pacifista il Talleyrand di turno ma si sforza di governare gli eventi, impedire che sfuggano definitivamente al controllo di chi li ha innescati. Bisogna fare atto di fede, oppure pensarci a lungo per trovare una confutazione o, come più adeguato, una terza via quando Calasso, sottintendendo il tertium non datur, asserisce:
La storia, d’ora innanzi, avrà da scegliere innanzitutto fra due vie: o Talleyrand o il Terrore.
Dalla teologia si passa a una magia nera di cui non si riesce a scoprire la fonte.
Il sacro, nelle sue migrazioni è la seconda linea di lettura, forse la principale. Di fronte all’ateo, al laico (intesi come aggettivi sostantivati) Calasso si fa maestro del sospetto. Che cosa sono l’ateo, il laico? Che cos’è la grande rivoluzione dell’Illuminismo? La fine del passato?
No: la fine delle definizioni in uso nel passato. Cadono le definizioni ma restano i concetti e restano attuati: solo, li si nega. Restano attuati: solo, non si è più consapevoli del loro significato. Da cui il grande trattato sul sacrificio che parte dalla narrazione della rovina di Kasch.
Kasch era governata dal sacrificio: i sacerdoti sentenziavano quando gli dèi, parlando nel linguaggio delle stelle, domandavano il sacrificio del re, della vestale, per sostituirli con un nuovo re, una nuova vestale. Per noi: abnorme, inumano. Quando una vestale si oppose e amò un narratore venuto da lontano, il governo del sacrificio fu abbattuto. Il re, la vestale restarono fino alla morte per vecchiaia. Nell’arco di pochi anni il prospero regno di Kasch fu invaso, prima dai commerci poi dalla guerra: ne rimase solo la storia della rovina di Kasch.
Morale, anzi: constatazione, perché non vuole insegnare: soltanto, mostrare: il sacrificio non era stato abbattuto, soltanto spostato. Non più il sacrificio del re, della vestale ma del regno, del popolo. Solo che non esisteva più la definizione: era sacrificio ma non c’era più la parola per dirlo.
Il sacrificio esiste ancora: solo è stato spostato. Calasso lo vede nell’esperimento. Non insorgete: non sta facendo polemica antiscientifica: sta mostrando modalità. Il sacro è stato espunto ma non il concetto: rimane un sacro senza sacro, con il corredo di credenze, bigottismi, sacrifici senza dèi. Sacro desacralizzato, del tutto nelle mani dell’uomo: lungi dall’aver risolto il problema, spostandolo, avocandolo l’uomo si è preso una patata bollente. Diventando totalmente responsabile, senza scuse, alibi, scaricabarile empirei. Costretto a rendere conto lui stesso alle vittime del sacrificio – lo fa?
La storia si compendia anche in questo: che per un lungo periodo gli uomini uccisero altri esseri dedicandoli a un invisibile, e da un certo punto in poi uccisero senza dedicare il gesto a nessuno. Rimase la pura uccisione.
L’altra grande declinazione sacro descacralizzato è la perdita del limite. Ancora una volta: come definizione, non come concetto nella realtà. Summa di questa sconsideratezza è Marx, che al capitalismo non rinfacciava l’ingiustizia ma l’essere limite a uno sviluppo che il filosofo voleva illimitato; senza capire che, tolto di mezzo il capitalismo, non si sarebbe tolto di mezzo il limite.
Incubo, sottoprodotto, scoria: da ignorare, stigmatizzare, passare sotto silenzio perché avrebbe demolito un pensiero che non ammetteva contraddittorio: il dubbio, la contestazione avrebbero illuminato le crepe. Stirner ricordò come le scorie del consorzio umano c’erano e nessuna rivoluzione o spostamento del baricentro dagli dèi agli uomini le avrebbe rimosse. Al massimo nascoste, polvere sotto il tappeto. Contestualmente notava come: sì, il sacro è stato espunto; ma non quello che ci va assieme, il bigottismo in primis: allora, risposta, il laico, l’ateo non sono che un simulacro del sacro, nelle sue migrazioni.
Che cosa c’è di più bigotto, infatti, di un sano laico, così burbanzoso e credulo verso i suoi principi?
Intuizioni. Altro termine che uso impropriamente, per le deviazioni, divagazioni, visite ad antri e cortili dove si trovano idee che, approfondite, raddoppierebbero il volume del volume. Calasso, dopo trentacinque anni, ha sentito il bisogno di riprendere il discorso da un’illuminazione appena schizzata, contorno da collocare in uno sfondo e poi formare: l’innominabile attuale.
Intuizioni o, per meglio dire: frammenti.
Non l’eterno ritorno, ma la ripetizione: rispetto a ogni evento dobbiamo chiederci: che cosa, qui, voleva ripetersi? a che cosa, qui, si dava risposta?
Definizione di consumismo senza nominare il consumismo: volere ciò che passa perché passa.
La prevalenza delle immagini.
A partire dall’Iran, fresco di rivoluzione: la «guerra civile globale».
La rivolta dell’etnia, il rigetto dell’Occidente in quanto morbida epidermide che si sovrappone a tutte le terre e le soffoca.
L’innominabile attuale.
[segue]
E' stato per me quello che per Carmelo Bene fu L'Ulisse di Joyce.
Nessuno ha mai liberato un uomo, come i Buriati hanno liberato i loro cavalli consacrati al Tuono? No, vi fu un uomo che ne liberò un altro - come se fosse stato il cavallo bianco dalla bocca ferita e dagli occhi delicati, poiché aveva visto e respirato il sé, intento ad ardere, leggero, sulla foglia del loto, trasmettendolo poi alle geniture, respirandovi al disopra e incastonandosi nelle loro pupille, assunta che ebbe la forma del Sole.
L’uomo che liberò un altro uomo fu Gengis Khan e l’uomo lasciato libero (come izykh) fu un suo amico, del clan del Barin'...
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