Ho attraversato diverse fasi di lettura e in ognuna ho ritrovato critiche e gradimento che ho scorto nelle tante recensioni lette in giro.
Nella prima fase ho detestato lo straripante talento dello scrittore, palesemente enorme ma mal assortito nella scelta dei tempi e della montatura delle varie fasi della storia.
Alla fine del primo quarto ero incerto se lasciare o continuare.
Troppa confusione, troppa incertezza, troppi personaggi da seguire e nessuna vera storia o protagonista da seguire.
Ho proseguito, block notes alla mano per aiutarmi con i tanti nomi, date, eventi.
Poi c'è stata la fase dell'adattamento, dei troppi indizi buttati qua e là ma che tornano, si incrociano, prendono luce.
La sorpresa nello scorgere, pagina dopo pagina, il disordine narrativo scelto dallo scrittore che prende forma, sostanza, struttura.
I racconti di guerra, l'America di provincia, i misteri, i delitti, le passioni, le deviazioni, le dipendenze.
L'amore, la voglia di vivere, l'instabile e incerto equilibrio tra felicità e fallimento, il dolore che si trasforma o si amplifica: quel fuoco che mai si assopisce che i ragazzi chiamano vita e i grandi, che si spaventano ancora di quella tempesta, chiamano adolescenza.
Per me libro stupendo.
Scrittore che, se prova a contenere il suo talento, per me può fare grandissime cose.
Un libro che all'inizio non si capisce da dove parta, dove voglia andare a parare e come concludersi ma che, pagina dopo pagina, dipsiega tutto il suo arsenale di storie, dialoghi, descrizioni quasi antropologiche dei giovani della provincia americana fino ad un finale inaspettato.
4 adolescenti, giovani uomini e donne diventati grandi il sui destino si intreccia nuovamente dopo gli anni adolescenziali, in una sola e fatidica notte. Tra di loro i fantasmi di chi non c'è più, ingombranti presenze di un passato che all'epoca sembrava non avere limiti e che si è invece ripiegato su se stesso come una carta appallottolata che brucia lasciando un presente di miseria, abitudinarietà, faticosa ricerca di un posto nel mondo.
Markley imbastisce un bel romanzo, in cui descrive in maniera cruda, diretta, con l'assenza di pudore delle giovani generazioni proprio quegli adolescenti che dovrebbero essere la nuova linfa del sogno americano e del suo prosperare. Qualche pecca in un primo "episodio" che dovrebbe dare il "la" al libro e risulta un pò faticoso e sconclusionato anche se con qualche riflessione notevole e, forse, 100 pagine di troppo, che lo appesantiscono un pò.
UNa lettura godibile, a patto di avere un pò di tempo e calma per entrare nel modo di pensare e vivere dei giovani della provincia USA.
Libro che offre un quadro desolante della situazione americana letta attraverso le vite di alcuni amici che si rincontrano dopo anni. Assolutamente imperdibili le prime pagine che raccontano il funerale di uno dei protagonisti: tra le migliori lette in questi anni. Forse troppi temi messi trattati ( vita militare, abuso di sostanze, LGBT, ..) e una parte noir che poteva esser tranquillamente ignorata.
...ContinuaRitratto impietoso, lucidissimo e accorato di una generazione (la mia, per altro - ma dall'altra parte dell'Oceano). Un meccanismo crudele e chirurgico.
Ohio è, nel complesso e a mio modestissimo parere, un buon libro, in alcune pagine anche un ottimo libro, ma al tempo stesso l’ho trovato sotto certi aspetti piuttosto deludente. Tra le note positive metterei prima di tutto la scrittura. Ho lasciato dopo poche pagine la traduzione italiana (che mi è sembrata un po’ confusa e farraginosa, e che faticavo a seguire) per l’originale, e non sono più tornata indietro, anche perché leggere in originale mi obbliga a rallentare un po’ il ritmo e a metabolizzare meglio la scrittura, che è molto densa (ma meno farraginosa, mi pare, della versione italiana). E insomma, direi che Markley sa scrivere, sia pure con quel "mestiere da scuola di scrittura creativa" che spesso gli è stato imputato, non del tutto a torto. E mi è piaciuta anche la costruzione, che io vedo come una specie di treccia (o di macramé, per chi sa di che cosa si parla): una serie di fili di colori diversi, presi da diversi gomitoli, che piano piano si intrecciano e si annodano andando a formare un disegno (più o meno) compiuto e organizzato.
I fili però sono un po’ troppi, e a meno di farsi uno schemino da tenere a portata di mano, si finisce (io almeno finivo) per confondere Stacey e Haley, per dimenticare con chi stava Lisa o da che parte politica si schierava Jonas, chi ha detto cosa e cosa ha fatto chi. E soprattutto l'organizzazione è - come nel macramé - un po' troppo geometrica e simmetrica, un po' troppo perfettina, un po' troppo inesorabile.
Insomma, c'è sempre un "ma". E il "ma" più macroscopico, a mio avviso, sono proprio i personaggi e l’ambiente di provincia in cui si muovono. Certo, siamo nella provincia più provincia degli USA, messa in ginocchio dall’economia del terzo millennio: ma mi sarei aspettata, in un libro che ha per protagonisti alcuni ex compagni di liceo che si sono diplomati tra il 2003 e il 2005, qualcosa di un po’ diverso rispetto ai millemila libri e film sui liceali alla Grease (un Grease, com'è ovvio aspettarsi, più crudo e violento, ma sempre un Grease). Mi sono molto stupita di trovare un clima così “antico”, caratteri e situazioni così tradizionali, visti e rivisti da decine di anni. Le cheerleader e i fustacchioni, i secchioni e le ragazze casa e chiesa, l’omosessualità repressa e nascosta, le feste a base di alcol, sesso e droga, il primo amore che non si scorda mai. Togli l'Afghanistan e mettici il Vietnam, e siamo sempre lì, a quaranta-cinquanta anni prima. Non a caso, tutto l’aspetto “tecnologico” e internettiano è di fatto assente. Se si escludono radi e sporadici accenni a facebook e simili, sembra quasi che l’autore faccia di tutto per escludere dalla vita di questi ragazzi quegli strumenti che invece sono parte integrante della vita e dei pensieri dei “millennials” anche, presumo, nella provincia dell’Ohio. Nei momenti cruciali, tutti sono sempre senza telefonino, non rispondono alle email, non si fanno continuamente selfie da postare su Instagram, se fanno un video non lo mettono in rete ma lo chiudono in un cassetto. Non credo di sbagliare se penso sia stato fatto di proposito, ma mi sfugge il motivo: per dire che la natura umana è sempre la stessa, anche nel Terzo Millennio? Perché le tecnologie cambiano troppo in fretta, e fanno invecchiare precocemente le storie ambientate nella contemporaneità? Perché all’autore internet non piace?
Ho letto in questi stessi giorni la vicenda di Manuel e Marco – l’assassinio di Luca Varani ricostruito da Lagioia nel suo “La città dei vivi”. Non siamo tanto lontani, per certi aspetti, dai ragazzi dell’Ohio: gli anni sono grosso modo quelli, e anche certi baratri e certi vuoti sembrano gli stessi. Ma i ragazzi di Markley, per quanto raccontati da un’ottima penna, mi sono sembrati ben più finti, patinati e pronti per essere ridotti a fiction tv (ho letto, dopo aver scritto queste righe, che molti hanno parlato di romanzo-netflix e mi sembra una definizione azzeccata, anche perché spesso ci si trova dell'ottimo intrattenimento) di quanto possa essere giustificato dal loro essere personaggi di fantasia rispetto alla tragica realtà del libro italiano.
Per riassumere tutto questo pippone: è una bella lettura, un bel romanzo, ma da qui al famoso grande romanzo americano (ma anche al grande romanzo della provincia americana) mi pare ce ne corra.