David Grossman rappresenta una tappa importantissima e fondamentale nella mia personale crescita formativa di lettore. Col tempo le strade hanno preso percorsi diversi, è naturale che sia così, succede quando si vogliono scoprire nuove frontiere, provare nuovi scenari. Leggere è anche essere curiosi, aprirsi allo sterminato mondo delle parole, mai chiudersi in recinti che stanno più nella mente e nella nostra volontà e che ci impediscono spesso di godere di nuove emozioni.
Ma a David Grossman sono comunque affezionato, non fosse altro per quel modo garbato ed elegante che ha di proporsi e di proporre storie. E quindi, guai a chi me lo tocca, anche se non raggiungerà più le vette dei bambini a zig-zag tornerò comunque ad ogni sua uscita che, so per certo, può essere bello può essere brutto ma non sarà mai banale. E a ben vedere con lui siamo un po’ come i vieux amants di Brel, “non abbiamo più misteri / si lascia fare meno al caso”, Grossman si lascia leggere come fosse la compagna di una vita che ormai conosci fin troppo bene e sai pure cosa aspettarti ma sempre qualcosa di lei sorprende ed è nuova.
Questo lungo racconto, di racconti e di storie importanti e di vite dolorose, ha un percorso tortuoso e sembra non elevarsi mai completamente. Rimane come incatenato ad eventi che non si sviluppano mai completamente, e di questo ne soffre la narrazione che, anche se in tensione per buona parte, non riesce mai ad esprimersi compiutamente fino a sgonfiarsi nel finale, come una implosione per troppo tempo repressa.
Protagoniste le donne, anzi tre generazioni di donne. Tre donne e tre generazioni che sono uno lo specchio riflettente dell’altro, specchi che restituiscono l’immagine della donna che è stata e di quella che sarà. Attraverso le donne Grossman sperimenta una visione del dolore, un dolore che cerca di aprirsi agli altri, un dolore che scava in ferite mai rimarginate, mostrando tutta l’infezione che ha provocato nelle donne che le hanno subito. Esperimento, va detto, non completamente riuscito e, a tratti, pure ridondante.
Ma a Grossman, come alla cara vecchia amante, vogliamo (voglio ?) troppo bene, riusciamo a perdonargli una mancanza, una ripetizione, una incomprensione, e con lui “scendiamo sempre a patti con la terra”, mon merveilleux amour…….
Non mi piace particolarmente come scrive Grossman e non compro i suoi libri. Spesso la sua narrazione si incespica in cambi di soggetto e salti un po' azzardati che non la fanno filare via bene o comunque non come piace a me.
Il dito in qualche piaga lo mette con efficacia, ma sebbene sia basato su una storia vera, mi rimane sempre un senso di scentratura dei personaggi, quelli femminili, le cui caratteristiche psicologiche e comportamentali risultano eccessivamente caricate, poco verosimili e di conseguenza scarsamente credibili.
Letto in un periodo per me di gran fatica quotidiana ci ho messo oltre un mese per leggere questo romanzo di neanche 300 pagine. Il libro di per se non è di facile lettura, e la stanchezza quotidiana mi ha portato così ad impiegarci molto più tempo del necessario per finirlo. Eppure è un gran bel libro, nonostante ciò non è riuscito a tenermi sveglio la sera per leggerlo più velocemente.
Detto ciò, che ovviamente influisce sul mio giudizio, non posso non riconoscere a Grossman enormi capacità narrative, che già sono peraltro note.
Io considero il suo "qualcuno con cui correre" il capolavoro del suo genio letterario, mentre "Vedi alla voce amore" un libro da gettare dalla finestra e da causa legale per risarcimento danni morali e materiali. Quindi gli altri suoi libri si collocano nel mezzo. Questo si colloca decisamente in alto però. La trama è interessante, e specie quando i protagonisti partono per la Croazia la narrazione diventa decisamente avvincente. Come è tipico di questo autore l'inizio del romanzo è lento e di non facile affronto, ma la scrittura elevata non ti fa desistere da tentativi di abbandono e anzi ti fa tenere incollato al racconto.
La storia è reale, basata sulle vicende di una protagonista della resistenza jugoslava e di suo marito.
Quello che più mi ha colpito in questo romanzo è come l'amore cieco e incondizionato per il proprio uomo possa diventare però cieco alla realtà di altri affetti, non puoi trascurare la figlia per tenere vivo un amore per un defunto. Anche l'amore diventa ideologico così, se non è capace di leggere la realtà che ti circonda anche l'affetto più intenso diventa ideologia.
E una tale aberrazione si ripercuote fino ai discendenti.
Per fortuna la storia è raccontata da un romanziere ebreo israeliano, se fosse raccontata da uno italiano avremmo letto chissà quali idiozie.