Un pomeriggio estivo passo di fianco a una villa che ho visto tante volte e che mi ha sempre colpito . La vegetazione del parco si estende e oscura ogni cosa .
Quel giorno non sono solo perché si va a prendere il gelato : un 'amica di famiglia mi accompagna .
Lei si ferma indica la villa e mi dice : " La famiglia non torna più . E' tutto abbandonato " .
Poi si gira e mi indica un'edificio dall'altro lato della strada .
La linea d'Ombra taglia la strada in due : il sole illumina l'asilo .
"La famiglia ha costruito l 'asilo per ricordare il figlio " mi dice .
"E' stato il primo rapito d'Italia . Hanno pagato il riscatto , ma lui non è più tornato " . Poi un sospiro e il silenzio , come i vecchi liguri , parchi di parole inutili , sanno fare.
La guardo e non so cosa dire . Col senno di poi capisco il dialogo lasciato a metà ; lasciava me cercare di capire. Da quel momento quando passavo di li alzavo lo sguardo , acceleravo il passo eppure non dimenticavo.
Ecco questo libro parla di un uomo , del suo desiderio di essere accettato e del suo destino , ma anche al ragazzo che ero. E' da tanto tempo che non frequento quei luoghi , forse perché non bisogna tornare dove si è stati felici , eppure quella linea d'ombra la ricordo bene .
Allora mi sembrava così netta : il sole da un lato , il male e l'ombra dall'altro . La vita e questo libro finiscono con l'insegnarti che non è così.
Mario Calabresi è un giornalista. Racconta storie.
Sarebbe facile fare, a questo punto, una battuta, in un’epoca di fakenews, post-verità, narrazioni mediatiche distorte e blablabla, tutto vero, eh, niente da ridire, ma, come sempre, le generalizzazioni spesso nascondono tesori nascosti e oscurano punti di luce, eccezioni, magari, se vogliamo, ma che anche da sole sono sufficienti a non fare di tutta l’erba un fascio e a convincere che vale la pena soffermarsi sui singoli e non sulle categorie.
Che poi è esattamente quello che fa lui, quando racconta una storia (in questo caso, ancora una volta, una storia dolorosa e densa di contraddizioni e densità umane, come sono stati gli anni ’70 della nostra, in cui è ambientata).
Cosa fa uno che racconta una storia?
Guarda, ascolta, comprende. Poi descrive, narra, dispiega la verità che ha saputo scovare o intravedere, in quella storia, al meglio delle sue possibilità, distendendo le pieghe delle vicende, ponendo domande, cercando risposte (a volte trovate, altre no, a volte esaustive, altre no) ma, soprattutto, lasciandosi incontrare. Da quella storia, da quegli eventi, da quei protagonisti.
In questo modo la verità che cerca (la verità di quella storia narrata) smette di essere un oggetto mitologico a cui dare la caccia nella selva oscura delle menzogne e delle interpretazioni e diventa ricerca e scoperta di sé, diventa un dialogo, un rapporto i cui interlocutori, certo, sono i personaggi e gli eventi raccontati e indagati ma il protagonista diventa l’uomo, nell’accezione più ampia, complessiva e profonda che si possa dare a questa minuscola parola.
Quando si incontra qualcuno che sa raccontare una storia, uno così, ce ne si accorge per un fatto semplice: si diventa curiosi di sapere come avrebbe raccontato la tua.
Perchè per chi sa raccontare in questo modo non esistono storie grandi e storie piccole, non esistono personaggi più importanti di altri o eventi da indagare e altri da tralasciare. Esiste la possibilità di incontrare e conoscere, sempre.
C’è chi sostiene che è questo che fa Dio, nel tenere in piedi il mondo: racconta le nostre storie, le storie di ciascuno di noi.
Non credo esista atto d’amore più grande.
La ricostruzione di una delle vicende dimenticate degli anni '70, una vicenda negletta, negata e rimossa anche da chi ne ha sopportato il peso e il dolore. Non a caso sono due dei protagonisti postumi di tutta la vicenda a volerne riscoprire i dettagli, la figlia e il nipote mai conosciuti da Carlo Saronio. Rampollo milanese dell'alta borghesia imprenditoriale, geniale e brillante studioso, fiancheggiatore di Potere Operaio e amico del suo traditore, Carlo Fioroni.
Una vicenda interessantissima, che ricostruisce parte del clima di quegli anni, ricca di spunti per me di particolare interesse specialmente per quanto riguarda il Sud Milano.
Peccato che la narrazione non sia in grado di valorizzarne i contenuti. Al di là del tono volutamente giornalistico l'esposizione è piatta e non riesce a rendere la dimensione dei tempi e dei personaggi.