Premetto che non c'è nulla che mi annoi di più del genere saga familiare feudo-rural-famil matriarcale e la solita minestra delle donne depositarie delle memorie (nel poco tempo libero tra parti in casa con l'acqua bollente e gli immancabili lutti) e gli uomini che partono per un paio di guerre mondiali (e di solito trovano il tempo per qualche divagazione..).
Pur applicabile a quasi tutta l'europa occidentale (con l'eccezione del Principato di Monaco) il cliché assume connotati terrificanti, e a tratti profetici, nell'italia meridionale prototalebana, con l'aggravante dell'immancabile retaggio aristocratico, le prozie orgogliose che dopo mille anni ancora esclamano "miii, Agiliutprandino nostro tutto il suo bisnonno Federico Barbarossa sembra!" ( e ovviamente il piccolo e dotato di un solo occhio, una sola gamba e tre braccia per il trend rigidamente endogamico della famigghia da almeno 800 anni).
Beh, Goliarda non si è fatta mancare nulla di tutto questo.
Solo, lo ha un po' personalizzato. La Famigghia senbra uscita da uno dei migliori sogni di Vladimir Luxuria, donne prima con donne poi con uomini poi con donne....tutti procreano con tutti (e qui ci sono intrecci complicati, nascono picciriddi in continuazione forse anche incestuosi, ma tanto si perde il conto) ma nello stesso tempo continuano anche a divertirsi.
Insomma, il libro non avrebbe dovuto piacermi, a rigore, e invece, mi ha "fatto buon sangue".
Quel caotico teatro di personaggi esprime emozioni e idee autentiche, vive episodi che qualcuno, ben mimetizzato, ha vissuto veramente. L'Autrice ci ha messo la sua vita, in questo libro e - non si sa come - riesce a farsi perdonare tutto.
Non è un capovolavoro di scrittura, secondo me, ma una volta letto dispiace averlo finito e, di sicuro, non si dimentica.
“L’arte della gioia” ha il suo fulcro in una donna extra-ordinaria, Modesta, perno attorno al quale si sviluppa un’ intrecciata e complicata saga familiare, dagli inizi del Novecento agli anni ‘60.
Modesta, nata povera contadinella e diventata principessa anarchica, “occhio” vigile e critico del suo tempo, nelle intenzioni dell’autrice, è una sorta di vessillo e simbolo della libertà, della indipendenza assoluta.
Rinuncia alla vanità del denaro, alla vanità della poesia, alla vanità del potere politico per conservare la propria libertà, per non dipendere da niente e da nessuno.
Modesta è cinica, è generosa, è sanguigna, è impulsiva (non esita a comandare una vendetta di tipo “tribale e mafiosa”), è calcolatrice, è sensuale, è pragmatica; insomma, pare un catalogo di tutte le componenti umane che caratterizzano vari personaggi delle tragedie.
‘O tiatro.
Ecco, leggendo il libro ho avuto la sensazione di assistere ad un’opera teatrale.
Non solo per la cifra stilistica, che include il passaggio indiscriminato dal racconto in prima persona alla terza persona (il narratore esterno che sembra “riassumere” le azioni fuori campo) e intere pagine costituite da vere e proprie battute , come ad esempio:
Bambù: - Come mai questo silenzio, Prando?
Prando: - I suonatori dormono, guardali: caduti come paladini sconfitti.
Bambù: - ma ballano ancora… (pag. 497)
Mi è sembrata un’opera teatrale per la fissità delle scene. Modesta è “ripresa” al centro di scenografie statiche: il campo, il cortile del convento, le stanze delle ville, la cella.
Modesta sembra anch’essa una scena, l’unica grande sovra- scenografia parlante e pensante: si deduce che vada di qua e di là, a Roma, a Parigi, ma del suo andare non c’è altro che il racconto, e gli altri personaggi, che pure sono una miriade, esistono solo in quanto relazionati alla principessa, solo in quanto e quando interagenti, dialoganti con lei.
(i dialoghi, marò!)
E la sua arte, l’arte della gioia, è una sorta di egoismo a due, una sessualità che fa bene al corpo e allo spirito (e grazie al caizer) .
“No, non si può comunicare a nessuno questa gioia piena dell’eccitazione vitale di sfidare il tempo in due, d’essere compagni nel dilatarlo, vivendo il più intensamente possibile prima che scatti l’ora dell’ultima avventura.”
E’ questo il suo segreto, il resto le è abbastanza indifferente, nonostante la millantata appartenenza politica, la maternità espansa, il preteso libertarismo e tutte le chiacchiere.
Forse negli anni in cui è stato ideato il romanzo (ma gli anni della “rivoluzione sessuale” erano già in transito) , poteva avere anche un suo perché, per la affermazione costante della sessualità (la bisessualità) libera e liberatoria.
Ma a leggerlo adesso la carica eversiva di Modesta mi sembra piuttosto blanda, soprattutto perché, a pensarci bene, Modesta è un personaggio “melodrammatico”, una pastiche di clichè usati e abusati, innestati su uno sfondo più moderno.
E melodrammatici (e insostenibili) sono i dialoghi, che costituiscono l’ossatura portante del romanzo.
A titolo esemplificativo, ne riporto un piccolo tratto. E' con la sua amante Joyce. Di tenore identico sono i dialoghi tra Modesta e gli altri amanti, indifferentemente dal tempo dallo spazio e dagli attributi.
- Sei tu che mi fai male piccola, mi mordi.
- Sì, sì ti mordo...il collo, le labbra... Ti faccio male vero? Così... nel collo, così dovrai coprirti tutta perchè non si veda. Fa male, dì? fa male?
- Oh, Modesta, sì, ma una dolcezza anche...Mordi, mordi!
- Ti mangio Jò, tutta dentro di me, anche il seno dentro di me! E non potrai sparire mai, chiusa dentro di me, mai!
La sensazione generale della lettura è stata di una grande staticità.
E di grande pallosità.
Alla fine non posso che confermare l’impressione che ho avuto sin dalle primissime pagine: l’arte della gioia è un polpettone.
Un polpettone nel cui impasto ci sta di tutto e di più, dalla Montessori a Marx, da Freud a chiunque abbia avuto un peso “culturale” nel ‘900, il tutto passato e triturato da non lasciare alcun sapore e ricordo, perché il gusto unico e dominante è quello di Modesta.
E a me, Modesta non piace.
Una teatrante, un’attrice.
Finta è.
(mannaggia a me che non l’ ho molllato subito, il pensiero tormentoso di riporlo nello scaffale è stato costante ad ogni pagina, 500 e passa pensieri di abbandono)
Mi ha davvero travolta ed emozionata la storia di questa donna così tanto fuori dall’ordinario, disposta praticamente a tutto pur di sottrarsi ad un destino sicuramente infernale.
Ho amato la sua tenacia, la sua intelligenza, il suo infinito acume, la sua inesauribile voglia di migliorare, il suo spirito forte e libero
Ho spudoratamente parteggiato per Modesta, anche quando le ho “visto” fare cose terribili, ed ho sopportato, per amor suo, anche le piccole imperfezioni di questo libro, che –anzi- me l’hanno reso ancora più caro e fatto sentire autentico fino in fondo.