Della Bignardi mi sono sempre piaciuti il sorriso, la sua pacatezza, il suo sguardo profondo. Non la conoscevo come scrittrice, l'ho vista alla guida del (primo?!) Grande Fratello, di Tempo moderni, ho seguito qualche puntata de Le invasioni barbariche e poi l' ho persa. Mi ritrovo tra le mani questo piccolo libro e sorrido perché mi torna in mente lei che avevo proprio dimenticato. Libri che mi hanno rovinato la vita è un diario lungo un anno, una sorta di memoir in cui si racconta con molta sincerità e racconta dei libri che hanno segnato la sua crescita, mettendo a nudo riflessioni ed esperienze di vita negative come la morte del padre, l'ansia della madre, le separazioni, il cancro.
Per scrivere questo libro prende in affitto un monolocale, prende i libri che in qualche modo l'hanno segnata, quelli che hai quasi paura di rileggere perché vuoi tenerti le sensazioni e le emozioni della lettura e ce ne parla, di titoli e autori, offrendo spunti e seminando curiosità. Personalmente dei citati ne ho letti pochi, di alcuni autori ignoravo completamente l'esistenza. Il Demone meschino e La foresta della notte di cui parla più spesso me li sono appuntati, anche Così parlo Zarathustra ma nutro qualche dubbio. Una lettura curiosa.
Ho sempre seguito la carriera di Daria Bignardi, fin da quando presentava un piccolo programma che parlava di libri (su Italia 1 forse?), una rubrica più che altro, sulle novità in libreria con una classifica dei libri venduti. Anni remoti nei quali anche Baricco aveva un suo programma, nel quale entrava nei romanzi per raccontarli e farli vivere...una televisione decisamente lontana, eppure Rai e Mediaset parlavano di letture...
Credo che, rivisti oggi, sarebbero comunque prodotti interessanti e con qualcosa da dire di importante.
Tornando a questo libro della Bignardi invece, si tratta a suo modo di una classifica, anzi no, di una cronologia di quei libri che l'hanno fatta soffrire o, meglio, le hanno rovinato la vita. Qualunque lettore forte si ritroverà in queste pagine, non per i titoli scelti, o gli eventi ad essi collegati, ma per una immedesimazione naturale che spinge a pensare ai propri titoli, a quelli che ci hanno fatto crescere e diventare quelli che siamo, nel bene e nel male. Perché nelle pagine, inevitabilmente, quello che cerchiamo siamo noi.
E questa è un'autobiografia tramite le letture.
Mi sono ritrovata comunque tantissimo nel versante ansioso trasmesso dalla madre all'autrice, lo stesso che a tutt'oggi solo mia mamma è in grado di infondermi, facendomi precipitare in un attimo nella sensazione di essere "in pericolo", alla mercè di qualunque disgrazia, prima tra tutte, non sia mai, un raffreddore!
Un titolo mi ha colpito tra quelli che hanno segnato la Bignardi, non fosse altro perché ce l'ho in wish list da un secolo, da quando lo ha consigliato David Foster Wallace in un articolo sulle letture imprescindibili, ed è La foresta di notte di Djuna Barnes (a questo punto devo proprio mettermene a caccia).
Daria Bignardi credo rientri a pieno titolo nel novero, abbastanza nutrito, di quegli scrittori che devono necessariamente mostrare ai lettori quanto siano intelligenti, preparati, e se vogliamo anche parecchio competitivi.
Poi però, giunti ad un certo punto del racconto, si rendono conto che questo schema ha una falla nel senso che a gioco lungo chi lo applica diventa insopportabile.
E allora fanno dietrofront, ma in che modo?
Giocando la carta della trasgressione, insomma si sono intelligente, a scuola vincevo le gare di matematica, sforno libri di successo ogni tre per due, però sai la novità?
Ad un certo della mia vita ho iniziato a frequentare tossici, prostitute, papponi, non esattamente in quest'ordine di merito, e poi però ho capito che era molto più rassicurante (oltre che remunerativo) mettermi a leggere libri sul divano.
Pronti via e dopo nemmeno dieci pagine già sappiamo che da piccola parlava meglio dei cugini perché leggeva molto mentre invece i cugini andavano a nuoto, judo e a giocare in cortile (forse per non sentirla parlare, azzardo).
In seconda elementare scriveva poesie d'ispirazione carducciana, a 12 leggeva i libri degli adulti.
Vero che il libro è corto ma a pagina 17 apprendiamo che Daria Bignardi può leggere 300 pagine in due ore (sempre 'sta competitività, ma perché?), quanto ai titoli menzionati ( di quelli che per intenderci dovrebbero averle rovinato la vita) finora siamo appena a due più altrettanti scritti da lei che in teoria potrebbero averla rovinata ai suoi lettori ma ai fini del titolo non vanno comunque conteggiati, e in ogni caso andando avanti con la lettura sapremo che i libri che le hanno davvero rovinato la vita sono fondamentalmente tre.
Tutto il resto (si potrà dire?) é gossip, pagine composte da cinque righe di scrittura più diverse pagine bianche giusto per arrivare a 150 che evidentemente Einaudi considera il minimo sindacale per imporre a chi acquista il libercolo un prezzo assai poco sindacale.
Ma insomma bando alle polemiche sterili e parliamo di cose serie:
Intorno a pagina 25 Bignardi mi piazza li due poesie e per un attimo immagino che nel computo totale vadano inseriti anche i libri di poesie...le poesie no, non le avevo considerate, comunque una é di Ezra Pound, 4 righe, bella, l'ho capita persino io.
L'altra e di Bassani, più lunghetta, infatti mi son scappati pure due sbadigli... Bignardi spiega che Natalia Ginzburg considerava Bassani scarso come poeta, chissà magari saranno scappati due sbadigli pure a lei.
Subito dopo Bignardi sgancia la prima bomba, i romanzi russi li ha letti tutti fra i dodici e i sedici anni, idem i francesi.
Quello che a quanto sembra l'ha segnata più nel profondo é Il demone meschino di Sologub, ma è dalle sue poesie che Bignardi ha capito quanto Sologub amasse soffrire...e per far soffrire anche un po' noi, giustamente, tre di queste le ha infilate nel libro e, che dire, con le prime due ho tenuto botta mentre la terza, L'altalena del diavolo, se uno sta attraversando la fase depresso con brio, non la consiglierei.
Peraltro, come racconta Bignardi affondando il dito nella piaga, non è che Sologub trasmettesse buonumore, la moglie dopo tredici anni di matrimonio si suicidò gettandosi nella Neva e il corpo venne ripescato dopo diversi mesi, col disgelo.
Nel frattempo Sologub, per non saper né leggere né scrivere, continuò ad apparecchiare per due (hai visto mai?) finché il corpo non venne ritrovato.
Dice ma non erano tre i libri che le avevano davvero rovinato la vita?
Ehm, si, un altro é La foresta della notte (titolo meraviglioso peraltro come sottolineato dalla stessa Bignardi) di tal Djuna Barnes, da me mai sentita nominare ma sarebbe strano il contrario
Pure qui alla fine é il gossip a prevalere su tutto, Bignardi ricordava in copertina una donna che fumava e quindi lascia intendere di aver iniziato a fumare a tredici anni per emulazione della stessa.
Ma, sorpresa, in nessuna edizione di questo libro è presente una donna che fuma e allora, spiega Bignardi, il ricordo era legato ad una foto della stessa autrice e da li al gossip il passo è breve.
In poche pagine veniamo a sapere che:
Djuna a 18 anni aveva sposato il fratello cinquantenne dell'amante del padre (che quindi era diventato suo cognato?), a 21 si era lanciata nella relazione con una baronessa (facendo prima coming out?), poi secondo matrimonio con un intellettuale socialista e quindi, dopo altre storie veloci, l'incontro con l'amore vero, quello delle farfalle nello stomaco, ovvero Thelma Wood.
Thelma Wood era una pittrice e scultrice che Bignardi definisce mediocre tuttavia sprigionava una notevole carica sensuale oltre ad essere molto brava in cucina...insomma riusciva a soddisfare entrambi i requisiti richiesti dal mitico Tiberio Murgia dei Soliti ignoti "femmina piccante pigliala per amante, femmina cuciniera pigliala per mogliera".
E Djuna volentieri se la sarebbe presa se non per mogliera almeno come amore per la vita ma il piccolo problema di Thelma era la refrettarietà alle relazioni stabili e quindi Djuna, non potendola avere soltanto per sé la lasciò e non volle più vederla nemmeno quando Thelma in punto di morte la mandò a chiamare... d'altronde, si sa, l'amore vuole amore come sentenziava Zarrillo che lo aveva capito prima di tutti.
Il terzo libro, forse il più conosciuto, é Così parlò Zarathustra di Nietzsche, ma anche stavolta l'interesse di Bignardi più che altro si focalizza sul rapporto dell'autore con Lou Salomè, anzi a dirla tutta é di Lou Salomè che si parla prevalentemente.
E doveva essere un bel tipino, come si evince peraltro dalle foto, mascella volitiva, come L'ottimista vendittiano.
Insomma Nietzsche s'innamorò di lei e voleva sposarla ma pare che non ottenne molto di più di un bacio, Paul Rèe che gliela aveva presentata non solo voleva sposarla ma pare si suicidò per lei, e non solo lui, sembra proprio che per suicidarsi per Lou Salomè occorresse mettersi in coda.
Alla fine si sposò con uno che aveva provato a suicidarsi (ma allora è un vizio) e non essendoci riuscito minacciò di riprovarci, lei a quel punto diciamo che venne presa per sfinimento.
In conclusione due stelle perché non mi è parso un libro onesto, passi per la breve durata, le pagine in bianco e quelle con tre righe scritte (tuttavia una casa editrice seria certe cose le evita) ma leggendo il titolo ci si aspetta di trovare quel che non c'è se non in minima parte.
Una riflessione dell'autrice però la condivido e mi piace sottolinearlo:
un libro letto in giovane età se riletto dopo vent'anni raramente trasmette le medesime sensazioni, ed è per questo che non rileggo mai, quasi mai, non torno sul luogo del delitto mettiamola così.
E non vale solo per la letteratura, la prima volta che ascoltai The wall ero estasiato, oggi invece attendo che David Gilmour mi liberi dalla monotonia con gli assoli di Comfortably Numb per poi sprofondare nuovamente nella quotidianità...ancora negli anni novanta non sarebbe accaduto.
P.S.
C'è un passaggio sull'area silenzio dei treni Frecciarossa che mi ha lasciato perplesso, Bignardi racconta di una ragazza che ad un certo punto si è messa a parlare al telefonino e poi di un uomo che l'ha aspramente rimproverata avendo lui pagato per stare in un area silenziosa.
La ragazza a quel punto c'è rimasta male per l'accanimento e il controllore ha lanciato all'uomo uno sguardo severo.
Ecco credo quest'episodio dia la misura esatta di ciò che siamo diventati, personalmente ho viaggiato un paio di volte nell'area silenzio ma quando ho compreso che in molti sceglievano quella carrozza nella speranza di poter parlare al telefonino senza essere disturbati ho desistito.
Rispettare anche delle regole basilari é diventato un optional e persino chi controlla se deve offrire comprensione preferisce regalarla ai trasgressori.
Una delle tante pagine di questo libro che si poteva a parer mio riempire con scelte migliori.