Questa "storia veneziana" è il classico esempio della trama che si piega alla metrica, del racconto che si scansa per far spazio alla poesia, dell'intreccio subordinato alla musicalità. Il "Beppo" di Byron è la cronaca di un marito che torna dalla sua metà dopo anni di peregrinazioni marine; ma appunto, ciò funge da mezzo per arrivare alla descrizione di Venezia, del Carnevale, delle dame italiane e del confronto con quelle inglesi, del paragone tra la stessa penisola e l'Inghilterra. Più volte, durante la narrazione, Byron farà uso in modo anche sfrontato di digressioni, palesando costantemente la primazia dei versi sulla cronaca dei fatti. La storia è l'espediente, la poesia il fine.
Poema in ottave che è una vera e propria storia veneziana. Con il pretesto di raccontare un storia ambientata a Venezia, Byron regala l'immagine di una città che diviene luogo assoluto, regno delle anime e dimensione cosmica. E' una moltitudine di volti, musiche, feste, danze. La storia nel suo fluire si perde in numerose disgressioni dalla realtà per poi ricomporsi. Rimane chiaro che per l'autore fare poesia è una forma di narrazione.
" Quando la notte col suo manto d'ombra
ammanta i cieli ( meglio se è più fitta)
comincia il tempo amato dagli amanti,
ma meno dai mariti, e il pudore
si libera e l'allegria saltella
giocando coi galanti che l'assediano,
e sono canti, trilli, urla, sussurri,
chitarre e tanta roba che strimpella. "
" Le veneziane hanno ancora bei volti,
dolci espressioni e sopracciglia arcuate,
e occhi neri come le arti antiche,
mal imitate, presero alle greche.
O come Veneri del gran Tiziano
(la migliore è a Firenze, non ho dubbi)
appaiono affacciandosi al balcone,
o scese da una tela di Giorgione. "