“IL MARZIANO MI HA INCONTRATO PER STRADA
E HA AVUTO PAURA DELLA MIA IMPOSSIBILITA' UMANA.
COME PUO' ESISTERE, HA PENSATO TRA SE,
UN ESSERE CHE NELL'ESISTERE METTE UN COSì GRANDE
ANNULLAMENTO DELL'ESISTENZA?”
Questa la poesia di Carlos Drummond De Andrade che Tabucchi ha scelto come “prefazione” alla sua breve opera, mentre nelle note finali sempre l'autore ci dice che oltre alle molte citazioni, di reale c'è un episodio ben concreto che ha poi mosso la fantasia romanzesca: “la notte del 7 maggio 1996, Carlos Rosa, cittadino portoghese di anni 25, è stato ucciso in un commissariato della Guardia Nacional Republicana di Sacavém, alla periferia di Lisbona, e il suo corpo è stato ritrovato in un parco pubblico. Decapitato, e con segni di sevizie”. Un romanzo breve, ma come ci ha abituato lo scrittore italiano “adottato” portoghese, ricchissimo di contenuti, trattenuti con uno stile difficilmente imitabile. Miscela di diversi generi, in una struttura semplice e quasi deludente nelle prime cento pagine, dove vengono spiegati i fatti e si comincia ad entrare nell'atmosfera di un paese, il Portogallo. Sono i pensieri di un vecchio gitano, Manolo, emarginato dagli avvenimenti della storia, in cui tra un imprecazione e un ricordo, ripensa a quando il suo popolo era in quel paese rispettato, aveva i cavalli più belli che si potessero trovare, e da buoni artigiani-maghi, circensi-cartomanti, trasformavano il rame in opere d'arte, quasi un alchimia di un passato ricco di storia e che si scontra inevitabilmente con il campo-nomadi del presente, ancora avvolto nel sonno, in una squallida periferia di Oporto. E' lui quindi il primo personaggio della trama, è lui che trova questo corpo decapitato tra gli arbusti, ed è sempre data a lui l'introduzione, l'occhio o il punto di osservazione con cui ci si rende conto di quanto profonda e veritiera sia la sua coscienza, di cui Tabucchi si serve, per dar subito un impressione non stereotipata della civilissima Europa, in mano ai nuovi arricchiti, corrotta e che mai ha dato l'impressione di voler cambiare non solo in meglio, ma concretamente. Poi c'è Firmino, giornalista che scrive per un quotidiano scadente della capitale e che parte a sua volta per indagare sul fatto. E' lui il personaggio minore e allo stesso tempo protagonista di un evento più grande, che lo segnerà come non avrebbe mai immaginato. Aspirante scrittore, tira a campare scrivendo di cronaca nera, per finire la tesi di laurea sul neorealismo portoghese, quello degli anni '50 e, da neofita qual'è, sulle influenze delle teorie critiche di George Lukàcs. Sembrano dettagli questi, invece man mano che si apre l'orizzonte narrativo, ogni cosa riesce in qualche modo ad interferire con l'altra, che sia l'indagine, la riflessione letteraria, il cibo o le città. E' infatti a metà romanzo, dove l'indagine sembra già chiara, che Tabucchi ci presenta l'avvocato Mello Sequeira o Don Fernando per chi lo conosce e ammira la sua riservata umanità; un uomo ricco da dinastie ma difensore di puttane e poveri diavoli, corpulento e sornione, quanto malinconico e pozzo senza fondo di sapienza e ingegno. Soprannominato Lotòn per la somiglianza con Charles Laughton, attore inglese che recitava nei panni del giudice in una fortunata serie degli anni'50, è con la sua comparsa che la scrittura prende un'altra piega, ed è nella reciproca conoscenza dei due personaggi che il romanzo si avvale di piani diversi di lettura. Incontratisi per risolvere un abuso intollerabile della polizia, si ritrovano come allievo e maestro dinnanzi sia alla soluzione di un caso di tortura che a una avvincente quanto disincantata analisi della società portoghese. E' qui la prima immersione verso una lettura sempre più avvolgente, narrando di questa forma di violenza insita nell'uomo da millenni che evidentemente preferisce punire con le peggiori intenzioni possibili un suo simile, averlo nelle sue mani e sotto il suo controllo tutto il tempo necessario, e far di lui ciò che vuole. Questo sempre in nome di qualcun altro, che sia Dio nell'inquisizione, gli alti comandi nelle dittature, la manovalanza nella malavita, o altri mezzi più sottili nelle consolidate democrazie coperte dall'ipocrisia di regole e parole, spesso smentite dai fatti di sangue di singoli o di molti, a seconda delle situazioni... E' da qui che lo scrittore si avvale del trucco di lasciar discorrere l'avvocato, arrivando a punti davvero intensi e avallando allo stesso tempo il suo costrutto narrativo semplice, parallelo al pensiero dell'erudito e inarrivabile oratore, che apre mille finestre e continui file apparentemente casuali, ma che invece sembrano connessi ed unirsi l'uno all'altro da trame tessute come l'invisibile tela di un ragno. Il libro merita la lettura proprio per questa dimensione creata ad arte, dove Holderlin viene raccontato come il poeta che attendeva lettere dal passato, corrispondenze mai arrivate e forse attese, per sapere quello che non si può sapere, e magari “che ci spieghino un tempo della nostra vita che non abbiamo mai capito”. Creando uno dei momenti più suggestivi di tutto il romanzo, Lotòn cita un verso di Louise Colette, mediocre poeta secondo l'avvocato ma fautrice nei suoi versi di un messaggio cifrato rivolto a Flaubert: “che ne facciamo degli amori passati?”. Riferendosi a Firmino con malcelata malinconia, il vecchio saggio si chiede anche a se stesso se questi passati sentimenti andranno nei cassetti mai aperti di calzini bucati e cianfrusaglie, e se lo scrittore francese capì davvero il messaggio della sua amica aspirante poeta, o se tutto viene invece dimenticato nei cassettoni o nel buio di un interruttore spento. E' da qui che si rivela la “lezione finale” di questa filosofia vissuta più che pensata: “Ebbene pensi a tutte quelle trame complicate tessute dal ragno, sono tutte vie che conducono al centro, a guardarle alla loro periferia non sembrerebbe, ma tutte conducono al centro...” e così Tabucchi si svela, e continua con lla voce del maestro-avvocato: “...da un sistema fatto di sotterranee congiunzioni, di legami astrali, di inafferrabili corrispondenze”. Sembrano quindi tornare sotto forma di lontane impressioni, le influenze di Kafka, Pessoa, Rimbaud, e tutto un arcipelago di concetti che vien voglia di approfondirli tutti, notando, per ritornare all'ispirato Sequeira, questo “sistema binario su cui si sostiene il mondo”. E difatti anche il romanzo sembra seguire un continuo dualismo: maestro e allievo, Lisbona e Oporto, il materialismo dialettico e la Scuola di Vienna, la verità e la menzogna, la società e i paria, e così via...questo espediente permette di fare i confronti, ma la voce narrante di Lotòn permette di più, ed esprime in un modo quasi poetico e desolato, il disgusto non per un fatto in sé, ma per ogni fatto di sopruso e violenza; è la pietas verso coloro considerati invisibili, privi di diritti, di norme talmente sofistiche da allontanarsi dal bisogno reale di qualcuno, diventando formule di un diritto astratto a dispetto di morti atroci e concrete, come la testa sparita di un giovane, in un paese che nonostante abbia vinto una dittatura, ritrova gli stessi metodi, le stesse protezioni, gli stessi insabbiamenti...viene inoltre spiegato un curioso parallelismo tra il Milligan, un gioco di carte, e il vertice delle Nazioni Unite di Ginevra, dove in entrambi i casi la tattica è una finta collaborazione tra i partecipanti, ma nella realtà ognuno cerca di ostacolare l'avversario per fare il proprio gioco e vincere. Tabucchi così va molto più in là, quel che sarebbe risultato più ostico e intricato, diventa un fiume in piena di pensieri, quelli dell'avvocato Mello Sequeira che senza contraddittori si spinge ad una riflessione che va al di là delle parti; come quell'urlo espressionista di Munch, regala ad un giovane giornalista un assordante monologo per la sua coscienza, un grido muto sull'inutilità, sulle occasioni mancate, sull'insensatezza di fatti evitabili ma invece accaduti. Un confronto sulla bellezza e la vita, sull'immensità del cosmo e sul confronto con gesti infami di violenza estrema. Questo dice Lotòn, in Portogallo come in Italia. Anche nella sua arringa finale registrata da Firmino, per problemi tecnici poco si capisce, ma da quel poco che ne esce, il silenzio sembra la giusta pausa d'amarezza e coraggio, l'impressione di un'arringa tanto al potere, che si assolverà, quanto a un sistema atroce e così voluto e deciso. Un silenzio sull'inutilità di questa giustizia, la cui bilancia non è mai stata tarata nel modo giusto. Firmino di ritorno a Lisbona ascolta e sa, che sebbene niente cambierà, per lui nulla sarà come prima. Tabucchi quindi, si avvale di cento pagine, per permettere a se stesso uno sfogo composto da mille sfumature, ma anche capibile a livello sensoriale. E tra la disinformazione di ognuno e il menefreghismo di tutti, si riparte con la riapertura del caso, il primo fu Manolo il gitano a denunciare. L'ultimo un travestito malmenato e dimenticato in cella, ad aver visto con i suoi occhi la fine di Damasceno Monteiro. Nessuno crederà a un travestito, ma Don Fernando, alias avvocato Mello Sequeira, alias Lotòn, riprende il suo lavoro, ricordando che quel travestito ha un nome e un cognome, “Una persona” dice, "si tratta di una persona". Una Persona.
Aspettare lettere dal passato…
Esistono storie della vita che gli dei concedono una sola volta di capire!
Siamo ad Oporto e l’atmosfera che si respira ricorda quella di Sostiene Pereira, per me il capolavoro assoluto di Tabucchi.
Un giovane giornalista ed un avvocato dalla memorabile figura capace di evocare quella di Nero Wolfe, indagano su di un omicidio, per ridare dignità ad un uomo assassinato al quale è stata tagliata la testa, ma in fondo, per darla nuovamente ad un’intera società.
Ancora una volta un grande Tabucchi che questa volta costruisce un “giallo”, senza mancare di inserire nella storia temi come la tolleranza nei riguardi delle minoranze etniche, l’abuso di potere, la tortura.
Tabucchi, ma dove sei finito? Pensavo leggendo le prime pagine di questa storia trita e ritrita in tutte le salse. Eroina, ditte prestanome, il ligio Monteiro che viene fatto fuori perché ha scoperto troppe cose. E l'ombra della Guardia Nacional repubblicana.
I misteri sono troppi per liquidare la storia in modo banale. Ma ecco che entra in scena Firmino, giornalista d'assalto in cerca di rogne che, aiutato da Don Fernand Loton di professione avvocato dei diseredati, farà riaprire il processo e qui, il buon Tabucchi, con un tocco di bacchetta magica, in una Oporto calda e sudaticcia, tornerà a far risplendere il suo stile.
Si, d'accordo non siamo ai livelli di Pereira o di Isabel -altro mio grande amore - ma ancora una volta vale il detto che La classe non è acqua.