Che cosa ho appena letto? Un libro profondamente disturbante, crudele, con un'angoscia a tratti insopportabile. L'interrogativo fondamentale, "qual è il vero senso dell'esistenza?", affrontato nella maniera più diretta, dura e senza infingimenti in cui mi sia imbattuto finora nella mia vita di lettore. Geniale l'idea di mettere come protagonisti dei ragazzini di una classe: un gruppo di adulti avrebbe facilmente ripiegato su qualche seconda scelta e avrebbe accomodato le cose, depotenziando l'effetto destabilizzante della scoperta che niente, niente di ciò che esiste ha un senso. Neppure l'idea di accumulare in una catasta , definita pomposamente la "catasta del significato", ogni cosa che, per ciascun bambino rappresenta ciò che gli è più caro. alla fine ha un senso: con capzioso, sottile argomentare, infatti, si può sostenere che, se gli oggetti della catasta avessero un senso, allora perché privarcene. Ma se nulla ha senso, perché continuare? Perché lottare, amare, lavorare, soffrire, in una parola, perché vivere?
La verità, provvisoria del resto, ma forse è il massimo cui si possa ambire dopo il ciclone di nichilismo disperato cui dà il via il primo scolaro (che si ritira da scuola perché niente ha un senso e si mette a urlare la sua verità ai passanti dal ramo di un albero di susino, novello barone rampante nichilista) può forse essere individuata in una delle frasi finali del protagonista "quando apro con cura la scatoletta di cartone consumato e guardo la cenere grigia[...] E anche se non so spiegare cosa sia, so per certo che deve avere un significato. E io so che con il significato non si scherza"
Non esiste un senso universale, sembra dirci il libro, o perlomeno non è attingibile da noi: patria, Dio, politica, ma anche famiglia, amicizie, lavoro di tutto può essere dimostrata l'assenza di significato. Sta a ciascuno di noi cercare, vivendo, di attribuire un significato alla propria vita (viene in mente la famosa frase di Sartre "l'esistenza precede sempre l'essenza ") e, una volta trovatolo, o convintosi di averlo trovato, che poi è la stessa cosa, è meglio che uno se lo tenga stretto, accontentandosi di questo, senza cercare di porsi troppi interrogativi o l'unico esito possibile sarebbe l'avvitarsi in una spirale di nichilismo suicida. Gli do cinque stelle perché è un libro che induce a riflettere, ci provoca uno shock e ci costringe a mettere in forse almeno momentaneamente le nostre certezze: solo i libri migliori scatenano questo tipo di reazione.
Non lo so. Proprio non saprei dare in giudizio di valore, in quanto libro.
Scritto bene? Sì. Fiabesco. Poetico, molto. Leggero. Tossico.
Da far leggere ai ragazzi?
Forse, può darsi.. Non è questa la questione per me.
Non è respingendo o filtrando libri che li proteggeremo dall'essere adulti. Dalle contraddizioni di un mondo bellissimo e intollerabile al tempo.
Il punto è che si parla di significato. Qui. In modo imprevedibile e sinistro. Che colpisce me. L'adulto già adulto.
Ma ancora bambino.
Che vaga domandando. Che dubita e dubita e del dubbio fa una fede.
Che si sente Anton sull'albero rinunciatario e forte del nichilismo e si sente pure, e tanto, gli altri.
Rikke-Ursula, che perde le trecce blu e la sua individualità; Jan-johann che perde dito e talento; Hussain e Kai il Santo, che perdono fede e identità.
Sofie. Che perde l'innocenza e il senno.
Gli Altri, che si dannano per dimostrare che esiste qualcosa per cui valga la pena di vivere.
Qualcosa che racchiuda il significato dell'esistere.
Un libro esile. Pesante. (Avevo detto leggero, vero).
È elusivo.Cattivo. Affascinante. E con fascino intendo una magia che offusca la vista e rapisce un pezzetto di anima.
119 piccoli rasoi.
E dovrei anche andare a dormire...
Nichilisti di tutto il mondo unitevi!
Questo ho pensato dopo qualche decina di pagine. Con il mezzo sorriso e i Bernhard impilati in libreria.
Ma in realtà il nichilismo già a metà romanzo esonda, straripa, si trasforma in qualcosa di più del niente.
Gli echi della storia vengono da diversi parti: ovviamente il Barone rampante, di Calvino, la cattiveria della Trilogia della città di K, della Kristof, e come non pensare a Il signore delle mosche, di Golding.
La storia è questa: in una classe di non ancora quindicenni, uno dei ragazzi comunica fin dal primo giorno del nuovo anno scolastico, che niente ha senso, e che quindi non vale la pena di far qualcosa. Da quel momento, sale su un susino di fronte a casa sua, e decide di trascorrere lì il tempo, sputando sentenze nichiliste e tirando susine ai compagni che si azzardano a passare da lì. (E fin qui, c'è l'eco di Calvino).
I compagni però dopo varie ipotesi poco convincenti, decidono di provare a far cambiare idea al proprio compagno ammucchiando cose, oggetti e quant'altro, che per loro hanno un significato, con la speranza che possa cambiare visione della vita.
Questa ricerca di significato, porta a far sgorgare ben presto cattiveria e violenza nelle loro azioni (e arriva anche la Kristof) in un'autentica escalation delle suddette (e arriva anche Golding).
Sorprende nel romanzo la quasi totale assenza di esseri umani adulti, un po' come nei Peanuts di Schulz o in Tom & Jerry (dove al massimo si vedono solo le caviglie e le pantofole della padrona di Tom), tanto che la loro funzione all'interno della storia è simile più o meno all'importanza del panorama alle spalle di Monna Lisa nel dipinto di Leonardo.
A quanto pare il libro ha creato problemi a qualcuno. E la cosa potrebbe anche starci (personalmente ho trovato evitabile, forse, solo un passaggio), e malgrado qualche domanda di incoerenza la ponga, è un libro da prendere o da lasciare, che suppongo possa essere non apprezzato da chi ha pratica delle mezze misure. Personalmente sono dell'idea che se un libro ha smosso e creato dibattito (è stato premiato, come censurato) vuol dire che già ha assolto a un'ottima funzione dell'oggetto libro. Sempre che abbia un senso, chiedere a un libro, di avere una funzione.