Non credo che la scrittura di Yoshida Shuichi sia piatta, ma che sia una forma attraverso la quale possa essere semplicemente dimostrativa degli accadimenti evitando qualsiasi modalità empatica. Ciò ha inoltre maggiore presa nella mente del lettore della profonda solitudine interiore dei quattro ragazzi più uno che condividono lo stesso appartamento, del loro modo vacuo di attraversare la vita, o forse anche della perdita dell'innocenza di questi giovani tra i 18 ed i 28 anni. Talvolta con una scrittura lineare e molto orizzontale si può raggiungere più facilmente lo scopo, questo può dare meno presa o intesa con ciò che si sta leggendo o con i personaggi della storia.
Ciò nonostante alcune frasi sono scritte molto male, frutto mi sembra, di una traduzione non certo facile.
E' il secondo romanzo di Yoshida che leggo ed ho capito che ama avere nelle sue opere giovani che sembrano avere obiettivi molli o non averne affatto, che fanno uso di strumenti “forti” per poter tenere il passo, come quello di avere sempre un forte tasso alcoolico nelle vene, di guardare filmati dove appaiono solo, con un montaggio intenzionale, scene continue di stupro sebbene tratte da film molto famosi come “Arancia meccanica” o “Ultima fermata Brooklyn” o altri dello stesso genere.
Gesti efferati ma non solo, come quello di sfregiare il viso di una ragazza con una pietra, che uno dei ragazzi compirà, sembra quasi ottenere l'indifferenza degli altri conviventi avendo la consapevolezza, così almeno Yoshida ci lascia intuire, che gli altri sappiano ciò che uno del gruppo ha compiuto. Sembrerebbe che ciò che si effettua o ciò a cui forse si aspira abbia poca importanza o lasci imperturbabili gli altri e se stessi.
La vita scivola addosso e nessuno sembra avere mordente per afferrarla e guardarla in faccia.
Ryosuke, Kotomi, Mirai, Naoki e Satoru sono quattro ragazzi che condividono un appartamento.
La loro esistenza scorre tranquilla fino al giorno in cui alcune misteriose aggressioni a giovani donne cominciano a sussegursi nel loro quartiere e il sospetto che uno di loro sia coinvolto si insinua sempre piu' nella mente dei ragazzi.
Questo e' uno di quei casi dove la quarta di copertina trae in inganno il lettore, di cio' che promette, ovvero di essere un thriller, non c'e' traccia, tutta la storia si basa sulla vita e i loro relativi problemi di questi ragazzi, con il risultato di essere frammentaria, lenta, senza un filo logico e inconcludente.
Alla fine si tratta non di un thriller ma di una descrizione caustica della societa' giapponese e in particolar modo della sua gioventu', interessante per carita' ma io mi aspettavo tutt'altro.
Se è un thriller quello che vi aspettate da questo secondo libro di Yoshida (classe 1968, vincitore del prestigioso Premio Akutagawa nel 2002 con Park Life) uscito recentemente in Italia, rimarrete delusi.
Forse meno intrigante nella trama de "L' uomo che voleva uccidermi", questo romanzo a più voci rappresenta in modo lucido la condizione esistenzale di cinque giovani giapponesi, tutti di età compresa fra i diciotti e i ventotto anni, che condividono clandestinamente un minuscolo appartamento nel quartiere di Setagawa, a Tokyo.
Cinque vite diverse tra loro che galleggiano in una bolla, a cui fa sfondo lo straniante paesaggio della megalopoli, si incrociano nel soggiorno, escono ed entrano in una banale quanto insulsa routine quotidiana.
Ryosuke, studente universitario traferitosi a Tokyo dalla provincia, frequenta di nascosto la ragazza di un suo compagno più grande verso cui, per lo standard dei rapporti sociali giapponesi, dovrebbe invece rispetto.
Kotomi, disoccupata, trascorre le sue giornate chiusa in casa a guardare soap opera, nell'attesa di una telefonata del suo ragazzo, un giovane attore emergente.
Mirai, giovane impiegata con velleità artistiche che vive un'esistenza di frustrazione annegata in serate dall'altissimo tasso alcolico, strascicata da un bar all'altro nel quartiere gay di Shinjuku.
Satoru, misterioso ragazzo che viene accettato senza grandi domande nell'appartamento malgrado nessuno sappia con precisione che età abbia realmente e di cosa viva, che ad ognuno degli inquilini dà versioni diverse della storia della sua famiglia di provenienza.
Naoki, apparentemente l'unico ad avere un lavoro soddisfacente in una casa di produzione cinematografica, primo inquilino dell'appartamento che originariamente condivideva con la sua ex ragazza con cui ancora intrattiene una sorta di relazione ambigua e senza pretese.
Quel che ci rappresenta Yoshida, con una scrittura semplice e piana, sono delle desolate regioni dell'essere stranianti come un paesaggio lunare, dove fa eco una solitudine che annaspa nella vaga e debole ricerca di un senso. Se questo scenario esistenziale dovesse risuonare, sarebbe senz'altro la composizione "Ragnatele" di Daniela Savoldi.
https://www.youtube.com/watch?v=8Bl6uJEZEa4
La letteratura giapponese non è mai facilmente intelligibile per noi occidentali, ci lascia spesso un po' sconcertati, con la sensazione che qualcosa infondo ci sia sfuggito, che una distanza incolmabile ci lasci indietro nella comprensione profonda di una cultura così lontana e diversa. Un ermetismo in cui si riescono ad intravedere dei bagliori. Per questo Yoshida può risultare un autore più banale di quello che in realtà è.
"La vera me, in quell'appartamento, non esisteva. La me che andava d'accordo con gli altri coinquilini (Ryosuke, Koto, Naoki e Satoru) era la "me dell'appartamento". Ma forse anche loro si erano inventati la loro versione "dell'appartamento". E quindi in realtà non esistevano neanche loro, e quindi nell'appartamento non c'era nessuno. Se l'appartamento era disabitato non avevo nulla da temere.", pensa Mirai. Ed ognuno dei cinque coinquilini ha una percezione diversa degli altri, con i quali in realtà non vuole entrare in contatto se non nei semplici e superficiali rituali di una convivenza casuale, non scelta, ma subìta con indifferenza, incurante del mistero dell'altro. Nel finale si rivela l'identità del responsabile di una serie di aggressioni che hanno luogo nel quartiere, ma non è questo il punto, non è questo senz'altro il nodo centrale della storia, né quel che Yoshida ci vuole realmente raccontare.
Forse non altrettanto articolato nella trama del precedente romanzo uscito in Italia nel 2018, anche questo "Appartamento 401" conferma Yoshida uno degli scrittori giapponesi contemporanei più interessanti (anche più di spessore, a mio parere, della osannata Natsuo Kirino e per Murakami Haruki si dovrebbe fare un discorso a parte). Perché il Giappone oggi non è solo fiori di ciliegio e manga.