Recensione per i frivoli.
Orbene, chi pensate potrebbe essere Dickens, se vivesse ai nostri tempi?
Probabilmente un mix tra il regista di Beautiful, e il regista di una qualunque telenovela sudamericana.
I personaggi ci sono tutti. C’è quel paio di nuclei familiari attorno al quale la vicenda si muove, la contrapposizione tra il Bene e il Male, e l’effetto cliff-hanging, che ti tiene incollato alla vicenda grazie a rivelazioni spettacolari, (in cui si scopre che il figlio di Pilar, in realtà era figlio di Diego, che amava la cugina Linda, la quale però amava Carlos, il quale aveva ucciso Antonio, che però si era salvato, e si era sposato con Juanita la Bonita, che a sua volta era la cugina spuria di Altagracia, la quale aveva lavorato nella pampa, dove aveva conosciuto Carlos quando era uscito di prigione, e gli aveva confessato un terribile segreto, che Diego aveva scoperto, e aveva detto al figlio Manuelito, che altro non era che….), ecco dicevo appunto, che l’effetto suspense è assicurato.
C’è anche il finalone che fa contenti tutti, ma che lascia intravedere un eventuale prosecuzione della narrazione, tipo “Grandi speranze crescono”, “Grandi speranze trent’anni dopo”, “Grandi speranze al tramonto”, “Grandi speranze fa il testamento olografo”, e così via.
Ebbene, frivoli, non abbiate esitazioni. Correte in libreria e adagiatevi fra le trame di questa storia ricca e avvincente. Non ve ne pentirete.
Se poi, siete troppo pigri anche per leggere, sappiate che c'è anche chi ve lo riassume tipo soap insieme (e questo sarebbe il bonus track) a "La ragazza di Bube"
http://youtu.be/i7jDHBXThnk
Recensione per quelli seri.
Mentre nel 1860 noi italiani eravamo affaccendati a unirci sotto un'unica bandiera, Dickens era affaccendato a pubblicare quest’opera, raggiungendo il nostro stesso obiettivo in scala decisamente più vasta. Con sole 500 pagine, e senza muoversi di casa, ha riunito i sentimenti più umani sotto l’unica bandiera sempreverde della speranza.
E aveva ragione.
Se c’è una cosa che ci rende “vivi”, è proprio quella di lavorare per un sogno. C’è chi si arrende subito, e c’è chi ci sta dietro tutta la vita. In questo senso Dickens, ha scritto un libro per stakanovisti. La storia ruota attorno alla minuziosa costruzione, passo dopo passo, giorno dopo giorno, delle grandi speranze di Pip. E siccome si chiamano speranze e non manna dal cielo, ovviamente c’è chi gli mette il bastone tra le ruote, c’è chi subisce nell’ombra questo suo disperato sforzo di diventare qualcuno, c’è chi lo aiuta senza aspettarsi niente in cambio, e così via.
Non è importante, né ai fini della recensione, né ai fini del romanzo, sapere se alla fine Pip ce la fa.
E’ importante invece, la saggia, a tratti disillusa, ma in fondo sempre obiettiva bonarietà con cui Dickens tratteggia le infinite debolezze umane, qualsiasi sia il percorso che i personaggi di questo libro sono impegnati a intraprendere. Qualsiasi grande speranza stiano cercando di raggiungere.
Libro eterno in quanto sempre valido, per tutti e in qualsiasi epoca, ed empatico come pochi.
Per tutto il tempo in cui sono stata impegnata con la sua lettura, mi sono comportata come il peggiore dei voltagabbana, tifando un po’ per l’uno e un po’ per l’altro, identificandomi in Pip, ma anche in Joe (a proposito, Joe santo subito!!!!), ma anche in Herbert, e in Biddy, e in Wemmick e così via.
E’ un libro che in casa dovremmo avere tutti, in bella vista, ad ammiccare da qualche ripiano della libreria, per ricordarci qual è questa grande o piccola speranza per cui ogni mattina ci alziamo e viviamo.
Intanto nella vita reale: rifletto sul reale significato del detto”vita da cani” guardando il mio cane ronfare beato sotto il ventilatore.
Lettura imperdibile. Frizzante e dolente.
Frizzante come l’ironia, mai arresa, di Dickens.
Ma dolente, nel consegnare al lettore quelle incerte aurore percorse da grandi speranze, che sfumano in una notte languidamente malinconica.
Eppure quella notte, fra macerie e lacrime, conosce il clemente – ancorché mesto – riscatto di una memoria incantata, che pur non facendosi progetto, in qualche misterioso modo, commuove e consola al tempo stesso.
Come le lacrime di Estella.
«La nebbia argentea fu sfiorata dai primi raggi lunari, e gli stessi raggi sfiorarono le lagrime che cadevano dai suoi occhi.»
Mi accompagneranno a lungo, le lacrime di Estella.
Cifra di questo romanzo, che non vorrei né sciogliere, né decifrare, ma soltanto ammirare.
E mentre osservo quelle lacrime, trasognate costellazioni, incontro lo sguardo di Pip.
«Tu hai sempre conservato il tuo posto nel mio cuore.»
E leggo il sogno, ancora vivo, in lui. Ora, come allora.
«Tu fai parte della mia esistenza, sei una parte di me stesso. Sei stata in ogni riga che abbia mai letto […]. Sei stata in ogni cosa che io abbia visto da allora, sul fiume, sulle vele delle navi, nella palude, nelle nuvole, nella luce, nell’oscurità, nel vento, nei boschi, nel mare, nelle strade.»
Mi tornano così in mente le parole di Montale, che raccontano il miracolo di quel sogno, che ha «suscitato iridi su orizzonti di ragnateli».
Che importa se è solo il sogno di un prigioniero?
Che importa, dal momento che quel sogno non è ancora finito?
Ecco cosa porterò sempre con me, da questa lettura: un’educazione dello sguardo.
Un’educazione a quel sogno.
«Il mio sogno di te non è ancora finito»
"Ora torniamo a questo giovanotto. La comunicazione che devo fargli è che ha delle Grandi Speranze" .
Un orfano, Pip, vive con la sorella, "allevato con le sue mani", e il cognato Joe anche lui come Pip succube di questa donna "di mano dura e pesante" .
"Nel piccolo mondo in cui i bimbi vivono (...) nulla è mai tanto acutamente percepito e sentito quanto l'ingiustizia".
Pip, bambino sensibile, sa che "se non potrai uscire dall'ordinario seguendo la retta via, non ci arriverai mai seguendo la storta" .
Intanto il giovane protagonista cresce, e il seguito del romanzo riserva molte sorprese; fin troppe, secondo me.
Evidentemente, non sono affatto il lettore ideale di uno scrittore come Dickens.
Gli innumerevoli colpi di scena, i personaggi talvolta estremi o quasi grotteschi, le rappresentazioni grandiosamente terribili di stampo preromantico, elementi atti a impressionare l'immaginazione, mi son parsi caratteri tipici del romanzo d'appendice ottocentesco da non riuscire a ottenere il mio pieno apprezzamento.
Eppure il libro poggia su una struttura abbastanza solida, la possente scrittura delinea figure che s'imprimono nella mente e tiene desta l'attenzione del lettore.
Un libro retto poi dalle migliori intenzioni, chiaramente d'intento edificante, tanto da apparire 'lettura per ragazzi' .
Chi come me ama la levità di narrazione, la 'leggerezza' calviniana, preferisce sicuramente letture a tinte non così marcate.