La bellezza è nuda.

Ne avevo letto qualche stralcio su un giornale, mi avevano incuriosito. Su un altro giornale – dove ho letto una intervista all’islamista Paolo Branca, che da allora continuo a seguire, e che pochi dubbi, doveva trattarsi di Famiglia Cristiana – ho letto della pubblicazione degli esercizi spirituali proposti da Ermes Ronchi al papa e al suo seguito, li ho ordinati online e circa un mese dopo, quando m’ero convinto che la San Paolo Edizioni mi avesse fregato, mi trovo il pacchetto dietro la porta di casa, terzo piano, niente ascensore, dubito sia stato il postino, più un vicino di casa che l’avrà preso in carico al posto mio, siccome siamo mancati per una settimana da casa.

Lentamente mi sto abituando a accettare, di me, che ci sono pensatori cristiani, cattolici addirittura, che mi piace leggere, sui quali mi piace riflettere, e non importa se condivido una frase di San Bernardo (“E chi è cattivo con sé, con chi sarà buono?”) e l’attimo dopo c’è già chi festeggia a vuoto “Oh, ti sei convertito!” e molti di più che si lamentano a vuoto Ti sei convertito!, anche tu”, sebbene così fosse farei felici entrambi: i convertiti, che sono felici di averne uno in più, e i senza confessione, che sono felici di dirsi rimasti in pochi e perciò i più resistenti, i migliori, ma ormai sono anni che l’ho capito: non basta non avere una religione per pretedere di avere una ragione passabile.

Mi piace la spiritualità di Ermes Ronchi e del suo Dio onniamante mica onnipotente, “La domanda ti disarma e poi ti fa protagonista come nessu’altra forma di dialogo, protagonista libero di un dialogo dall’esito aperto.”

Vorri leggerlo dai pensatori che ammiro, certe riflessioni, poi mi ricordo che i pensatori che piacciono a me sanno che droga pericolosa sia quella della consolazione, della carezza. Me li sono scelti tutti nemici dichiarati degli spacciatori di sperenza, però mi piacciono anche i poeti, e sono i poeti a dire “Le domande sono giovani, come un mattino perenne.”

Leggo le riflessioni di Ermes Ronchi e mi viene voglia di leggere Jan Twardowski, Giovanni Vannucci, Turoldo l’ho letto anni fa, non ricordo mi entusiasmò, sto cercando di capire se sono state tradotte e pubblicate le poesie di Manuel Scorza Torres: “Basta che un Uomo sogni,/ perché un’intera razza puzzi di farfalle! / Basta che solo uno sussurri d’aver visto l’arcoballeno di notte, / perché perfino il fango abbia gli occhi rilucenti!”.

Ultimamente con un amico, per traverse vie, a seguito di una ricerca che ha statisticamente accertato come i figli degli atei siano più generosi dei figli dei cristiani e dei mussulmani, abbiamo desunto che se da ragazzino rubavo figurine a malloppi è perché avevano provato a educarmi col catechismo.

Io del catechismo mi ricordo che lo conduceva una ragazza bellissima, doveva avere tra i venti e i trenta anni, per me, sugli undici/docici, era una Immortale con i Capelli Crespi. Fiorenza si chiamava, e io volevo eccellere per piacerle, e le piacevo, e divenni amico del figlio del meccanico, anche lui nel mio corso, il figlio il criminale del paese. Quando finì il catechismo ci rimasi male, era meno eccitante la vita lontano da Fiorenza, lontana dal figlio del meccanico, però dopo la Prima, vissuta come forma di gratitudine per le esperienze ricevute, non l’ho mai più presa una comunione. Io non ho mai voluto mangiarlo un dio, e ho da subito sperato che non fosse vero, che fosse come segno e non come teofagia.

Non avere una chiesa, non avere una religione, non significa non voler imparare dalla “(…) cattedra dei piccoli e dei poveri.”, non chiedersi “(…) per chi stai camminando?”, non provare sollievo quando scopri che può essere una aspirazione tuttora comune voler credere che “(…)sei vivo quanto lo è il tuo desiderio”, che vuoi essere “dove hai tanta forza quanto ne hanno i tuoi ideali.”

La religione è il mito della civiltà in cui vivi e l’Italia non è del tutto smitizzata, per fortuna, il disincante totale è un nichilismo completo, cioè una noia aberrante (“I fondamentalisti si distinguono subito perché sono infelici…”) ma neanche emancipata dal suo mito, il che è un male, perché le origini mitiche vanno sfidate e coniugate al proprio presente, alla propria indole, alla propria storia. Nel mito della cacciata del paradiso, per me Dio non ci fa affatto il figurone.

“L’uomo si nasconde perché chi gli fa paura è Dio” dice Ermes Ronchi e, considerate come andarono le cose, dagli torto. Questo simpatico presbitero dell’Ordine dei Servi di Maria con il nome della divinità greca tra le mie preferitie dice: “Il peccato originale non racconta la semplice trasgressione di un divieto, ma lo stravolgimento del pensiero di Dio, che il serpente induce: vi ha dato mille alberi, è vero, ma vi ha negato il meglio; ha paura di voi, è geloso, vi ha proibito la cosa più importante. Non fidatevi.”

Ermes, perso nella sua visione di amore e libertà, dimentica che alla fine la storia umana, nel mito cristiano, proviene dalla nostra cacciata, e, nonostante tutti gli orrori, a me di tornare a pascolare nel giardino di un padrone che stabilisce lui, in base alla sua misercordia, cosa puoi fare e cosa no, non m’è mai venuta voglia.

A me piace formarmi. “Vera formazione non consiste nell’insegnare le regola della navigazione, ma nel trasmettere la passione per il mare aperto, il desiderio di navigare oltre, passione d’alto mare.”, e alla fine so che cercherò un po’ di spazio nelle parole di Simone Weil: “La vita del credente è comprensibile solo se in essa c’è qualcosa di incompresibile.”

L’amore, quando di Dio non si vuole fare niente di più grande di questa grandezza, è sempre un come che si è lasciato dietro la rassicurazione di un perché.

E poi c’è quel bellissimo urlo di Dostoevskij: “Il vostro male è che non sapete quanto siete belli!”

Aug 8, 2016, 2:32 PM