Camilleri, come uno spericolato barman acrobatico, miscela l'Opera dei pupi (3 parti), le commedie di Shakespeare (1 parte), il teatro farsesco di Feydeau (1 parte), alcune tra le più riuscite fra le commedie di Eduardo De Filippo (1 parte) e guarnisce, per finire, con una immancabile spolverata di follia tipicamente italico-burocratese: il risultato è un libercolo (termine nella fattispecie affatto dispregiativo) in cui le missive personali si alternano a quelle ufficiali, le missive ufficiose agli articoli di giornale e in cui brevi brani di raccordo contribuiscono a rendere la storia unitaria e vitale; formula originale sperimentata successivamente - a mio parere con un risultato ancora più efficace - anche in La scomparsa di Patò, con un ritmo che pagina dopo pagina abbandona quell'apparente indolenza sicula per diventare sempre più serrato e incalzante e dare origine in un tripudio di fuochi d'artificio ad una commedia degli equivoci a tratti esilarante in cui, alla fine della fiera, ogni singolo personaggio troverà sulla scena la sua perfetta collocazione: Maestro!
Ci fosse stato il doppio delle stellette da assegnare ai libri letti, le avrei usate tutti per questo di Camilleri.
Nonostante segua da tanto Camilleri e abbia letto quasi tutto quello che ha scritto, avevo sempre tralasciato i suoi romanzi storici.
Sono felice di aver constatato che anche da questo punto di vista Andrea Camilleri rimane un grandissimo narratore di storie sì, ma soprattutto di Storia.
"La concessione del telefono" è quasi un copione teatrale, richiama opere di altri tempi ma è principalmente una lezione di Sicilia. E una lezione di Italia, ancora di più oggi, dopo undici anni dalla sua pubblicazione.
Leggendolo e continuando a sorridere in alcuni momenti (mentre in altri lo sconforto è stato profondo) ho intravisto, dietro le parole e i personaggi di Camilleri, lo spirito di Sciascia. Una storia piccola di paese, fatta di omini, ominicchi e quaquaraqua che racconta però qualcosa di più grande: un sistema, una società intera, un intero Paese.
Recentemente Andrea Camilleri ha avuto occasione di affermare, durante una intervista, come in questi ultimi tempi si senta sempre di più la mancanza di intellettuali come Sciascia e Pasolini. Credo sia vero: c'è una assoluta mancanza di scrittori che con chiarezza e lucidità raccontino con spirito critico storie di ordinaria italianità che non riusciamo più a capire, né a riconoscere e che, pertanto, ci vedono incapaci di qualunque azione e reazione.
"La concessione del telefono" scritto nel 1998 descrive fatti (verosimili) del 1892, ma più che mai attuali nel 2009.