A volte mi chiedo perchè ci neghiamo piaceri così semplici e a buon mercato come rileggere i libri che più ci sono piaciuti. Forse è ingordigia, c'è sempre un libro nuovo da leggere e sembra che rileggere sia uno spreco di tempo e poi, per un GdL, capita di rileggere Cannery Row, ed è godimento puro, come la prima volta!
E' una malìa, perchè è talemnte bello che non si riesce a mollarlo fino a quando non è finito, e mi è piaciuto oggi come 20 anni fa, nonostante tutto quello che ho letto nel mezzo, tutta l'esperienza da lettrice. Esperienza che di fronte ai libri mediocri appanna la lettura, e porta all'esasperazione (soprattutto per le foreste abbattute per stampare quintalate di blablabla) ma di fronte ai capolavori si entusiasma come i ragazzi di Vicolo Cannery di fronte ad una festa!
Vicolo Cannery è fantasticamente con me, non è attuale e non è universale (dubito che i "ragazzi" del Vicolo siano stati così attraenti nella realtà!), ma è "vicino!", Steinbeck scrive e dà vita ad un mondo di cui si ha voglia di leggere. E' magia. E' come l'amore. Puoi dire cosa ti piace di una persona, ma non puoi definire cosa ti abbia fatto innamorare. Io amo Steinbeck!

Apr 17, 2010, 3:32 PM

Vicolo Cannery è il condensato di John Steinbeck: dentro si ritrova tutto ciò che ha caratterizzato l’epica dello scrittore californiano.
Sottovalutato dalla grande critica che gli preferisce i romanzi più acclamati e noti, Cannery rappresenta magnificamente il mondo steinbeckiano: pochi personaggi, sputati in un ritaglio striminzito di terra, ognuno con una sua particolare intagliatura, in parte differenti per cultura e abitudini, ma tutti accomunati dallo stesso immutabile destino di perdente
Oggi li chiameremmo perdenti, e forse sono davvero così. O è più giusto dire che sono sconfitti. Perdente lo è chi non ha combattuto, chi ha lasciato perdere, chi non si è messo in gioco. E loro, i protagonisti di Steinbeck non sono affatto così, anzi: hanno combattuto, e continuano a farlo, si sono messi in gioco, ci hanno messo la faccia con tutta l’anima e nonostante tutto me escono sempre sconfitti.
L’essere sconfitti non significa neppure perdere la gioia di vivere. Ferocemente attaccati alla vita l’assaporano fino all’ultima stilla di liquido, che sia sangue, sudore o whisky. La morte, quella propria e quella degli altri, è solo un astratto dipinto che incuriosisce, ma che spazzano via velocemente dalle proprie immagini fatte solo di luci ed alcool. E di amore, che anche qui ce n’è tanto.
Anzi, tutto ciò che non riescono a raggiungere con i (pochi) mezzi che hanno, lo suppliscono con questa parola spesso prudentemente taciuta per pudore e timidezza.
Un amore pasoliniamente violento.

May 25, 2019, 7:12 AM
La solitudine di Dio

E’ il primo (per me) Steinbeck . Non ne sono rimasta entusiasta.
Come mi è accaduto per il primo Faulkner, ho trovato anche in questo scrittore un’eco biblica, seppur meno potente che in Faulkner, in sottofondo, che mi ha accompagnato come un filo conduttore fino alla fine.
Al centro del microcosmo rappresentato dagli abitanti di Vicolo Cannery a Monterey in California c’è il Dottore, che vive isolato nell’Istituto Biologico Occidentale, circondato da animali di ogni genere e con unica compagna la musica. Egli è come un Dio saggio e misericordioso che in un attimo, se preso dall’ira, può diventare pericoloso . Il Dottore conosce bene gli abitanti del vicolo, “bagasce, ruffiani, giocatori e figlie di mala femmina”, come se fossero sue creature, e loro lo ammirano e lo rispettano. Tutti sono accomunati da una caratteristica, che in Mack e la sua banda di “ultimi” spicca evidente: sono individui che vivono in semplicità, senza preoccupazioni per l’avvenire, e soprattutto senza ansie o domande morali su ciò che è bene e ciò che è male, dediti esclusivamente a soddisfare i loro bisogni istintivi, seguendo solo le regole del “Padre nostro che sta in natura”, di colui che “ha dato il dono della sopravvivenza al lupo delle praterie, al topo comune, al passero d’Inghilterra, alla mosca domestica e alle tignole”. Come non accostare questo lembo di terra ad un Paradiso terrestre, un Eden popolato di umanità di ogni genere, non da condannare o giudicare, ma da studiare come fa il Dottore con gli animali marini che viviseziona nel suo laboratorio?
Come accade tra Dio e l’uomo nel Paradiso terrestre anche nel Vicolo il Dottore sfoga la sua ira con Mack e la sua banda, che con l'intenzione di festeggiarlo hanno danneggiato gravemente l’Istituto Biologico. L’alleanza silenziosa, il patto di amicizia si rompe. Tempi oscuri calano sul vicolo e la sua gente, fino a quando una voce saggia di una donna anch’essa misericordiosa verso le sue creature, le prostitute che lavorano al Bear Flag Restaurant, suggerisce come riappacificarsi con lui. Una nuova alleanza può rinascere tra il Dottore e gli altri abitanti del vicolo, un’alleanza che durerà in eterno in questo lembo di terra lambito dall’Oceano? Il finale aperto ce lo suggerisce, ma ciò che resta è la figura solitaria del Dottore, rimasto solo con la musica e l'onnipresente bicchiere di birra nel "suo" Paradiso terrestre.
Se la lettura di Faulkner mi suggerì visivamente le immagini del mosaico del duomo di Otranto, la lettura di questo romanzo ha evocato Il Giudizio Universale di Michelangelo, in particolare la parte della Genesi, le maestose immagini della Creazione dell’uomo e della cacciata dal Paradiso terrestre.
Allora perché tre stelle? Perché il romanzo non ha una struttura, è un insieme di storie frammentate di singoli personaggi, bizzarri, alcuni al limite del surreale (tanto che ho pensato a Baricco in certi momenti), di episodi intrisi di poesia, come quando lo scrittore descrive le ore che precedono il mattino, i rumori, i profumi ed i colori del vicolo: tutto molto bello, ma mi è mancata l’unitarietà della storia ed anche il finale lasciato nel vago mi ha deluso.

Dec 27, 2012, 5:04 PM