Il pub e i tiri con le freccette

Dopo quattro -sottolineo QUATTRO- anni di esercizio quotidiano a tendere la corda, l’allievo tedesco si rivolge al Sensei nipponico

Questo mi spinse a chiedere al Maestro perché non ci avesse ancora spiegato come si mira. Ci deve pure essere, supponevo, un rapporto tra bersaglio e punta della freccia, e così un modo di mirare che renda possibile far centro. «Naturalmente c'è,» rispose il Maestro «e lei potrà trovare facilmente da sé l'impostatura adatta. Ma se anche poi ogni suo tiro colpisce il bersaglio lei non sarebbe che un virtuoso dell'arco, che può esibirsi. Per l'ambizioso, che conta quante volte fa centro, il bersaglio non è che un povero pezzo di carta che egli fa a pezzi.

La mia condizione di occidentale etilico mal si coniuga con la pazienza orientale. La filosofia Zen mi infastidisce, ma da sempre mi attrae. L’alcool è la sostanza più incompatibile con questo tipo di filosofia, è una scorciatoia dannosa ed inutile che ad Oriente disprezzano. Ammiro l’applicazione ferrea del Maestro e la fedeltà canina dell’allievo, ma allo stesso tempo mi chiedo: se tiri la corda per quattro anni, non è che alla fine la corda si strappa? Se occorrono quattro anni per passare alla fase successiva in cui finalmente si prende la mira, quanti ne occorrono per arrivare all’ultimo grado della maestria, alla meta, al budda, alla pace dei sensi? Talvolta mi verrebbe da pensare che gli orientali si sentano immortali, oppure che passino tutta la vita a combattere la paura di morire e nei casi più favorevoli, una volta che ci sono riusciti, muoiano. Se chiedessi ad uno dei maestri che senso abbia passare la vita a cercare di colpire il proprio bersaglio interno mentre se ne mira uno di carta, potrebbe ribattere e invece il senso di 2 pinte di birra (+2 +2 +2.. con il passar di settimane, mesi, anni)?. Io sto sul confine fra serio e faceto, ma Eugen Herrigel era un professore di filosofia, uno seriamente interessato ad avvicinarsi allo Zen non speculativo, che prese lezioni d’arco quando venne a sapere che i maestri di questa disciplina avrebbero potuto introdurlo allo Zen “applicato”.

Soltanto quando gli assicurai solennemente che un maestro che prendeva tanto sul serio il suo compito avrebbe potuto trattarmi come il suo più giovane allievo, perché volevo apprendere quell'arte non per divertimento ma per amore della 'Grande Dottrina', mi accettò come allievo…

Tanto distante da noi, quanto affascinante in alcuni passaggi. E’ un libro breve che si legge in poche ore, si percepisce che abbia un senso ma ci si sente pigri ed impazienti per scoprirlo. Scusate mi suona il telefono…
-Ohilà Dragone! Al pub stasera..? Certo che sì!
-Ok..! Freccette alcoliche dopo il secondo giro, chi perde paga il terzo..

Apr 9, 2018, 5:31 AM
Pensare il risultato...

Ho tirato con l'arco e ci chiappavo... dopo aver letto questo libro, per un anno, non sono più riuscito a prendere un centro, spaccavo le frecce ed ero felice... ora ci prendo di nuovo, ma non guardo più oltre la corda... la freccia è guidata dalla mia mente. Fondamentale.

Jun 3, 2008, 3:33 PM
Verso oriente

Le prime venti pagine sono un tentativo razionale di spiegare perché non è possibile spiegare lo zen. Sembra una stupidaggine ma è la verità.
Poi Eugen Herrigel compie l’unica scelta possibile, ovvero raccontare l’esperienza particolare cercando di far emergere l’universale dalla narrazione della sua esperienza. Compito arduo poiché si scontra con la difficoltà di dire ciò che non può essere detto e doverlo fare con un linguaggio inadeguato perché semioticamente troppo distante.
continua su Liblog
http://liblog.blogdo.net/2008/06/14/verso-oriente-lo-zen-e-il-tiro-con-larco-herrigel/

Jun 14, 2008, 5:08 AM