Un testo diverso dai soliti romanzi , niente capitoli, i discorsi diretti vengono sostituiti da" cosi lui", o"dicevo io", inoltre sono presenti un'infinità di parole scritte in corsivo e ripetute ossessivamente
La trama è alquanto semplice, un ex pianista( il nostro narratore) racconta la storia di due colleghi di studio conosciuti al Morzanteum di Salisburgo: Wertheimer e Glenn Gould.
Glenn il genio,il solitario,il perfetto, " vuole essere il pianoforte ", sicuro di sè, spietato, non ama conoscere l'opinione che la gente ha di lui perché sa di essere il migliore, con aria di superiorità definisce Wertheimer "soccombente "
Wertheimer incassa il colpo, ma la sua autostima viene ulteriormente ridotta, quando ascolta Glenn suonare "Le variazioni Goldeberg " al primo piano della stanza del Mozarteum.Solo allora si rende conto che paragonato a Glenn è una nullità , inizia così la sua caduta negli inferi.
Non suona più, si dedica , alla filosofia, si chiude in sè stesso ,sfoga la sua rabbia sulla sorella sfruttata soltanto per farle voltare le pagine , frustrato e depresso si suiciderà
Wertheimer non riesce a comprendere che la sua sconfitta consiste nel non avere accettato sè stesso con i propri limiti, le proprie incertezze.
La sua ancora di salvezza è la sua unicità , non deve emulare nessuno: i geni sono solo piccole mosche bianche, non rappresentano l'universo.
Fare leva sui propri punti di forza è questa la chiave del successo, la perfezione non esiste, lasciamola ai geni.
Un buon libro, alcuni concetti sono ripetuti con insistenza limitando la fluidità della lettura, ma, molto probabilmente, è questo lo stile dell'autore.Ottima l'analisi psicologica sulla condizione umana: l'infelicità, la depressione, l'incapacità di accettare i propri limiti, "il bisogno di voler a tutti i costi strabiliante il mondo", l'invidia, la cattiveria e l'odio.
4 stelle
Quanto più a lungo guardiamo con attenzione un essere umano, tanto più ci appare mutilato, dal momento che all'inizio ci rifiutiamo di percepire l'entità vera della sua mutilazione. Così l'io narrante, mutilato della triade cui faceva parte: egli stesso, Glenn Gould e Wertheimer; gli ultimi due morti, il primo, stroncato da un ictus, rattrappito sul pianoforte, il secondo suicida, impiccato a un albero a pochi passi dalla casa della sorella che lo aveva abbandonato per sposarsi.
Tre pianisti (ma tutti e tre aborrono la definizione), Glenn un genio, gli altri virtuosi senza anima; tre uomini ricchi votati alla musica per ragioni diverse ( l'io narrante per indispettire i familiari) dalla musica si fanno, in modi differenti, distruggere.
L'abilità con cui Bernhard padroneggia l'ironia millantandola come involontaria solleva a ondate un racconto che appare come il fluire confuso di un pettegolezzo, il tentativo del narratore di distogliere da sè l'attenzione per svelare difetti e manie degli amici che probabilmente sono suoi difetti e sue manie. Infatti se Glenn è il genio insuperabile e Wertheimer il soccombente, il debole, colui che vive per dimostrare qualcosa agli altri, il narratore è un vile cui manca il coraggio sia di vivere che di morire. Un vile che regala il suo prezioso strumento a una ragazzina perché lo distrugga dopo aver abbandonato la musica e con essa, in qualche modo, la vita.
Come sempre nell'opera dello scrittore, l'Austria è un luogo disgustoso, le sue città sono cupe, orrende, i suoi abitanti (ricchi e poveri) schifosi, i suoi alberghi sudici e tristi, il tutto concorre alla depressione e alla nevrosi.
Due donne segnano le sorti dei musicisti falliti: la sorella di Wertheimer da lui bullizzata, rinchiusa, sottomessa; e un'ostessa volgare e attraente la cui figura archetipica accenna a Siduri, la dea della mescita divina nell'epopea di Gilgamesh; e ancora di più all'ostessa kafkiana de Il Castello, colei che detiene il potere e lo nasconde o meglio lo svela attraverso quell'intuizione che nè Wertheimer (colui che accoglie nel suo letto di dubbia pulizia) nè il narratore posseggono. Potere che non intacca il genio perché Glenn Gould non è più un un uomo, ma è diventato il pianoforte.
L' ostessa e la sorella di Wertheimer sono due aspetti della medesima funzione, quella che Jung chiamò Anima.
Riecheggia, per tutto il racconto, la sublime musica di Bach, le Variazioni Goldberg, che nessuno può suonare dopo Glenn Gould la cui interpretazione ha raggiunto un livello eccelso.
L'invidia del genio, il riconoscimento del dono gratuito (i doni sono sempre gratuiti) concesso solo a Glenn, l'impotenza di fronte a tale fatto inequivocabile, inevitabile rodono la psiche di Wertheimer e del narratore. Chi è davvero il soccombente? Il genio che suona giorno e notte sacrificando tutto il suo tempo alla musica? Il suicida che si arrende al fatto di non essere geniale, ma solo un grande virtuoso? Il vigliacco che fugge in Spagna e rifiuta di rispondere alle lettere disperate dell'amico?
La celeste ambiguità di Bernhard, la sua scrittura spiraliforme, l'esatta restituzione della malattia dell'anima si concludono con il finale in apparenza inconcluso (mi si perdoni il bisticcio) ma intriso di oscuro fulgore.
Le Variazioni Goldberg sono tra i brani più noti composti da Johann Sebastian Bach. Originalmente scritte per clavicembalo, sono state trasposte per pianoforte negli anni cinquanta del secolo scorso, specialmente grazie al geniale pianista canadese Glenn Gould.
Queste variazioni sono costituite da un'Aria, seguita da 30 variazioni sull’armonia della stessa e un’Aria da capo, identica alla prima. La scrittura di queste variazioni è unica e prevede il ripercorrere le armonie precedenti con piccole variazioni continue fino al ritorno al tema originale, invariato.
Bernhard, prendendo spunto proprio da Gould e le Goldberg, scrive un romanzo "circolare"'. Gli stessi temi sono incessantemente ripetuti, in modo continuo e ossessivo. Tre gli attori principali, tutti pianisti:
- Glenn Gould, il genio. «qualcuno che non brilla, non promette, poiché è»
- Il filosofo, ossia Bernhard stesso, che narra la storia. Che quando comprende di non essere un genio e di non poterlo diventare, abbandona il pianoforte senza particolari traumi.
- Il soccombente, ossia Wertheimer, che quando sente per la prima volta Gould suonare vede il mondo crollare, perché riconosce in lui il genio e capisce di non esserlo. La sua sfrenata ambizione, limitata dalle mancate capacità, lo porta ad abbandonare il pianoforte prima e al suicidio poi.
"Wertheimer sarebbe stato volentieri Glenn Gould, sarebbe stato volentieri Horowitz, e non è escluso che sarebbe stato volentieri anche Gustav Mahler o Alban Berg. Wertheimer non era capace di vedere se stesso come un essere unico al mondo, mentre in effetti è così che ciascuno di noi può e deve concedersi di vedere se stesso se non vuole cadere in balìa della disperazione, ogni essere umano, comunque sia fatto, è un essere unico al mondo, io stesso me lo dico di continuo e con questo son salvo. Quest'àncora di salvezza, che consiste nel considerarsi come qualcosa di unico al mondo, Wertheimer non l'ha mai presa in seria considerazione, gli mancavano a tal fine tutte le necessarie premesse."
Cosa ci vuole raccontare Bernhard, con questo romanzo dalla scrittura ossessiva, ripetitiva, musicale, ipnotizzante? Che bisogna accettare ciò che si è perché non ci è data la possibilità di scelta. La ricerca a tutti i costi dell'immortalità per la creazione di opere di genio non può che produrre persone infelici. Noi siamo unici per ciò che siamo, per le nostre caratteristiche, per il nostro modo di pensare, per ciò che facciamo. Inutile cercare di essere ciò che, semplicemente, non possiamo essere.
Un grande libro, che mi ha totalmente rappacificato con la scrittura di Bernhard, che ho trovato questa volta meravigliosa.