"Quando si è giù , si dovrebbero leggere libri tristi" - Reza"
Sì. Credo che sia così. Forse perché se si è giù in maniera indeterminata, confrontarsi con quelle che sono tristezze reali, o meglio vere e proprie sciagure, confrontarsi con quelli che sono dolori solidi e tangibili, riporta coi piedi sulla terra. Ridimensiona le proprie angoscie. Le proprie ossessioni.
Così come i fatti della vita tragici che sfiorano la nostra vita in maniera tangente. Vite che per questa volta, per fortuna, non sono la nostra.
Ecco. Sarà brutale dirlo. Ma questo è. Carrere descrive Il dolore che lo sfiora, e, grazie a questo dolore vero e terribile che non accade a lui né alle persone della sua diretta cerchia famigliare, la sua vita prende una svolta imprevista e completamente positiva.
Per me il miglior Carrere letto finora. Bravissimo a raccontare senza sbavature e senza melassa la tragedia che in un istante può far parte della vita di tutti.
Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, ho trascorso qualche ora davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa piú paura al mondo…
Così Carrere quasi alla conclusione di questo reportage sul dolore altrui che lo spinge a sentirsi fortunato, felice di esser stato risparmiato. In merito al dolore io credo che non si possa scegliere, una quota (più o meno ingente) è destinata in sorte a ciascuno di noi. Non si può rinunciare al dolore, capita invece di rinunciare colpevolmente alla felicità. Il dolore arriva all’improvviso, spesso viaggia sul cavo del telefono ed è inevitabile. La felicità invece uno deve sceglierla, inseguirla e infine assecondarla. Per il dolore basta star fermi, per la felicità invece bisogna muoversi, tanto che uno finisce per considerarla stancante, procrastinabile per poi accorgersi che è irrimediabilmente sfumata. Sempre Carrere scrive:
Mi è capitato di sentir dire che la felicità si apprezza a posteriori. Che pensiamo: non me ne rendevo conto, ma a quel tempo ero felice. Per me non è cosí. Sono stato a lungo infelice, e molto cosciente di esserlo; oggi amo quello che è il mio destino..
Io sono iscritto al partito A posteriori (AP), la felicità per me è essenzialmente ricordo di felicità.
Il libro è assai pesante, le vite che non sono quella di Carrere sono così dolorose da procurare saturazione in chi legge. Sopra un certo livello, qualsiasi accidente non fa più presa, si aggiunge indistinto agli altri facendo crescere solo il numero delle pagine. Manca un elemento determinante rispetto agli altri libri dello scrittore francese: la tensione. Togliendola, i fatti, per quanto emotivamente significativi, sono diventati enumerazione. Se a questo aggiungiamo le ottanta pagine di diritto privato, le venticinque di diagnostica e le venti di geografia diamo un’idea abbastanza fedele dell’intelaiatura del libro. Le ottanta pagine di diritto cavilloso (condito con interpretazioni molto opinabili) da sole basterebbero per rovesciare il giudizio favorevole su qualsiasi romanzo. Questo però non è un romanzo, è il diario di un saggio, è il prodotto di uno scrittore che aveva l’obbligo editoriale di scrivere un libro entro una determinata scadenza.
Nessuno contesta che Carrere sia bravo a scrivere, che sia bravo anche a leggere e a riportare nei propri libri frasi molto significative. “L’avversario” è un libro che gli è riuscito meglio di “Vite che non sono la mia” da cui ritaglio
«la peggiore delle sofferenze, è quella che non possiamo condividere»
Non è sua, è di quel genio folgorante di Celine.
sono 10 giorni che mi trascino dietro questo libro. A volte mi infastidiva, a volte lo sentivo freddo, a volte l'argomento era così doloroso che non lo volevo affrontare. Oggi non riuscivo a staccarmi dalle ultime pagine e intanto piangevo, anzi alla fine singhiozzavo proprio.
Non so se è un libro che cambia la vita, se offre ricette, se è catartico.Forse è troppo. Forse, se mi ha aperto gli occhi anche solo un po'sulla bellezza del presente, ha raggiunto il suo scopo.
Capisco perché Carrère abbia ritenuto necessario scriverlo,anche se era difficile, anche se è tutto vero e non narrativa.
Cito testualmente dalla trama su ibs "Durante le feste di Natale del 2004, Emmanuel Carrère è in vacanza con la famiglia in Sri Lanka. Sono i giorni in cui lo tsunami devasta le coste del Pacifico: tra le migliaia di morti c'è anche Juliette, la figlia di quattro anni di una coppia di francesi a cui Carrère - accidentale testimone dello strazio di una famiglia - si lega. Qualche mese dopo, al ritorno in Francia, un altro lutto: la sorella della compagna dello scrittore - che casualmente si chiama anche lei Juliette - ha avuto una ricaduta del cancro che già da ragazza l'aveva colpita rendendola zoppa. Ha trentatre anni, un marito che adora, tre figlie, un lavoro come giudice schierato dalla parte dei più deboli, e sta morendo. Dall'incontro con Etienne, amico e collega di Juliette, anche lui passato attraverso l'esperienza della malattia, Carrère capisce che non può nascondersi per sempre: deve in qualche modo farsi carico di queste esistenze in un corpo a corpo con quell'informe che è la vita. Raccontare ciò che ci fa più paura. Ritrovare nelle vite degli altri, in ciò che ci lega, la propria. E quello che fa un testimone. "
Vite che non sono la mia parla dello strazio della morte e della bellezza della vita. Del dolore di chi sa che se ne sta andando, di quella paura che nessuno può descrivere, e del dolore di chi resta, di chi deve riaccomodare la sua esistenza. Parla del distacco di chiunque stia bene nei confronti della sofferenza altrui, e del coraggio di farsene carico. parla di amore di genitori per i figli, di amore di coppia, di amore per gli amici. é una esperienza fortissima leggerlo, mi sento spezzata in due, piena di terrore e al tempo stesso di amore per le cose belle che viviamo. E forse il senso è tutto qui.