Come è noto accadde quando ci fu la restaurazione degli Stuart sul trono d'Inghilterra (processo, impiccagione e a seguire decapitazione, della serie: la vendetta è un piatto che va servito "freddo").
In quanto a noi, se qualche imprevisto dovesse capitarci fra capo e collo, cerchiamo orsù di non perdere la testa! Mentre facciamoci pure servire la testa del nostro insopportabile capo su un piatto d'argento. Oppure, se noi siamo il capo potremmo anche far cadere qualche testa: tutto pur di non farci venire il sangue alla testa. Però, in un caso o nell'altro, la cosa più saggia da fare si sa è mantenere sempre la testa sulle spalle, eccetera...
Modi di dire compresi, questo saggio di un'antropologa inglese è veramente coinvolgente e ben scritto.
Si parla diffusamente delle decapitazioni e dei modi in cui venivano eseguite. Quella causata dalla lama della ghigliottina è ovviamente la più veloce e anche la meno dolorosa, forse. Pare che in soli due secondi avvenga nel condannato la perdita di coscienza, anche se non ci sono conferme dirette che sia effettivamente così rapida. Quando fu introdotta in Francia nel 1792 però il pubblico, che assisteva sempre numeroso alle esecuzioni, ne fu alquanto deluso e urlava: «Ridateci il patibolo di legno, ridateci la forca!».
In effetti che senso aveva andare ad assistere a uno spettacolo se non si riusciva a vedere quasi niente? mancava anche il piacere di insultare, o peggio, il boia perché, a differenza di costui, la macchina non sbagliava mai un colpo.
L'autrice dedica un capitolo, sempre assai coinvolgente, anche ai teschi usati come memento mori, ma anche a quelli trasformati in graziosi oggetti regalo (i teschi dei "giappi" spediti dai soldati americani come souvenir alle fidanzate).
In un altro capitolo parla diffusamente delle teste imbalsamante di santi e martiri disseminate qui e là in Europa (e a questo punto ho rivolto un pensiero grato a Lutero), alcuni dei quali pare se la siano portati da soli sul luogo dove volevano fosse conservata:
"Esistono tanti racconti di santi che dopo la decapitazione portano da sé la propria testa fino al luogo di sepoltura. San Dionigi partì da Montmartre e fece ben dieci chilometri a piedi, reggendosi la testa e recitando un sermone lungo la strada. Si dice che san Nicasio di Reims avesse continuato a recitare il salmo 119 nonostante lo avessero decapitato all’altezza del verso 25. Esistono oltre 150 casi noti di martiri che raccolgono la propria testa e si incamminano verso un luogo da loro scelto."
(spesso l'autrice, per fortuna sua e del lettore, visto il tema del saggio, ricorre all'ironia)
E ancora ai giorni nostri queste teste fanno la loro bella figura in preziosi reliquiari che attraggono moltitudini di fedeli e semplici curiosi perché, aggiunge l'autrice, "in parte i reliquiari scintillanti rallentano la decomposizione che minaccia il loro contenuto: se sei un’antica palla rugosa di materia organica putrefatta può essere utile trovarti dentro una scatola d’oro tempestata di gemme al centro di un edificio sacro dove la gente, di norma, fa silenzio e porta rispetto."
Ma neanche le teste di Beethoven, Mozart e Schubert stanno dove dovrebbero stare (come fece il sagrestano che trafugò il cranio di Mozart a riconoscerlo in mezzo agli altri quindici sepolti nella fossa comune, dieci anni dopo la sepoltura? era un sagrestano lungimirante)
Tralascio di parlare degli altri capitoli, altrettanto interessanti, per non dilungarmi troppo (su quello in cui si parla del "cannibalismo medicinale" soprassiedo nel caso fra i lettori di questo commentino ce ne sia uno debole di stomaco).
Aggiungo solo che l'autrice si sofferma a lungo anche sulle decapitazioni con cui negli ultimi anni la nostra "sensibilità di uomini moderni" ha dovuto rifare i conti. E a parte ovviamente la brutalità e la drammaticità di queste morti, quello che dovrebbe colpirci è che ancora oggi ci siano moltissimi spettatori, questa volta celati dietro uno schermo di un computer, disposti a guardare e riguardare le teste tagliate di uomini fra l'altro innocenti, prova dell'attrazione che sono da sempre in grado di esercitare questi "trofei", e quindi dell'umana incapacità di voltare, quando sarebbe il caso di farlo, la testa dall'altra parte.
Poche cose come l'infliggere dolore e morte al proprio simile ha scatenato la fantasia umana. La sadica panoplia di metodi tortura e uccisione e' li' a dimostrarlo nella Storia. Tutto cio', se possibile, si potenzia geometricamente quando si ha a che fare con la testa, la parte che e' sineddoche per eccellenza del corpo tutto, dell'essere umano in quanto tale, titolare a ben vedere dell'umanita' stessa. Lo staccare la testa dal corpo ha sempre avuto quindi implicazioni enormi su molti piani differenti. Questo saggio ha il merito di affrontare la questione con un approccio appassionato e curioso, mai inutilmente morboso ma purtroppo non pienamente soddisfacente. A parte il focus quasi totalmente anglosassone, c'e' qualcosa che non torna nel modo di scrivere e organizzare i dati, per cui alla fine la noia ha la meglio anche sul disgusto e la repulsione. Un'occasione in parte persa.
Ho il cartaceo con ISBN 978-88-511-3642-0, ma non avevo voglia di chiederne l’inserimento. Tanto siamo due gatti ….
C’è un vecchio nudo nella foresta amazzonica che sta facendo un buco in terra: di fianco una testolina nera con capelli lunghi. La sta seppellendo.
Dalla foresta spunta un bianco vestito che lo vede e comincia a rompere le palle con il fatto che quella testolina la vuole lui.
Il vecchio indica un coltello che il bianco ha appeso alla cintola.
L’affare è concluso.
Le testoline diventano un cult in Europa, soprattutto a Londra. Averle è molto trendy: privati e musei se le contendono.
Ma la domanda è inferiore all’offerta.
Questi selvaggi si scannano poco e il trattamento è riservato solo a particolari nemici.
Dato che i bianchi sganciano merci solo se gli procuri testoline, si comincia ad ammazzare un po’ più di gente, chi capita capita.
Meno male che con il passare del tempo a Londra si comincia a brontolare su questi trofei, altrimenti l’Amazzonia o il Borneo si sarebbero spopolati ancora prima della deforestazione per gli uni e dell’alcol per gli altri.
La ricostruzione è mia, le vicende sono storia.
Il pubblico è sempre stato molto esigente. Le esecuzioni facevano il pienone. Se tutto non filava liscio pure il boia rischiava il linciaggio. La ghigliottina, veloce e pulita, non piacque molto, ma vista la quantità di teste da tagliare durante il Terrore, ci si rassegnò
S’inventarono anche la figura del tizio che, ai piedi del patibolo, ritraeva le teste mozzate dei personaggi più importanti.
Ci si arrangiava: mica c’era you tube dove una decapitazione te la puoi riguardare quando vuoi!
E molto altro: collezioni di guerra, oggetti di studio artistico o medico, reliquari e culto, la conservazione del teschio e la successiva intuizione della più opportuna, anche se meno estetica, conservazione del cervello (prima si buttava), la moda della conservazione criogenica.
Insomma un libro interessante che ha per argomento teste spiccate dal collo di vivi o di morti e di come l’uomo percepiva l’atto e ciò che ne restava, allora e oggi.
Mi ha schifato meno de Le 120 giornate di Sodoma e disturbato molto meno di Profondo rosso.
20.03.2016