Tubo sei e tubo ritornerai

La prima parte dell'autobiografia romanzata di Amélie Nothomb.

La prima parte è folgorante e illuminante, in quanto riesce a fare filosofia sulla vita/non-vita, sulla morte, sull'io cosciente... e tante piccole perle di perspicace saggezza.

Il bello di tutto questo, quello che la rende unica e non fa apparire il tutto come filosofia da quattro soldi, è il fatto che tutto questo è descritto attraverso gli occhi, ma soprattutto lo speciale intelletto di un bambino, anzi, di una bambina (infante): lei (non dice mai il suo nome). Da prima di avere una coscienza (stupendo l'utilizzo della terza persona singolare!) fino a (illudersi di?) uscire dallo stato di tubo.
Non utilizza mai toni dark per esaminare tutto questo, tranne un momento che riesce a far arrivare la mente di lei bambina a sfiorare addirittura il nichilismo, causato dalla nauseabonda visione di... carpe! Che insegnano a lei e a noi, tra l'altro, che la personalità di una persona non dice granché della persona stessa, mentre la repulsione ci dice chi siamo veramente.

Più o meno da metà fino al terzo quarto di libro, si passa più a una narrazione biografica di eventi della sua infanzia, scene sempre mostrate con ironia (agli occhi del lettore, per lei bambina erano assolutamente serie...), ma che perdono un po' l'acutezza iniziale, via via che i mesi passano e Ameliè giunge ai 3 anni, in cui, grazie all'esame del ciclo delle stagioni, scopre che: ciò che non avanza, regredisce.

Amélie non delude.

Nov 22, 2007, 9:53 AM
Anche io sono un tubo: digerente

Ho iniziato e finito il libro della Nothomb il primo Gennaio.

Solo per questo motivo bisogna riconoscerle (alla Nothomb) una massiccia dose di originalità, se è riuscita a coinvolgermi nella lettura, nonostante da sempre il periodo delle feste mi faccia assomigliare a un gene della narcolessia ambulante. [Per i distratti vorrei ricordare che in casa siamo in tre. Due che mangiano come uccellini, e la sottoscritta che ha una funzione ufficiale: quella di frantoio. Tutto ciò cha avanza, non piace, non è in linea con la dieta degli altri due, finisce sul mio piatto, senza lamentele da parte mia, grazie a una certa vocazione al martirio.]

E non solo: ha anche distrutto parte delle mie illusioni. Ero così convinta che uno dei meriti per cui la mia infanzia dovesse andare ricordata, fosse proprio la mia indiscutibile bravura nel gioco delle Belle Statuine, in cui eccellevo per il modo in cui riuscivo a tenere una posa improbabile del corpo per svariati secondi: forse, udite udite, anche per interi minuti.

Ebbè, volete mettere!! Son soddisfazioni personali di cui nessuno dovrebbe essere privato: e invece mi arriva la Nothomb, illustrandomi quanto stoicismo e bravura servano per fare il mestiere di tubo. Cacchio. Non ci avevo mai pensato.

Un conto è vegetare, un conto è essere un adulto pensante e ingannare tutti rimanendo impassibile.

Perciò:

Tubo della Nothomb Vs Noce che fa la posizione del fenicottero ubriaco per due minuti: 10-1

Praticamente un K.O.

Ma in generale la Nothomb è stata proprio brava a suscitare ilarità e allo stesso tempo a snocciolare battute illuminanti sul genere umano. Il problema è che pur riuscendo a intrattenermi, non è riuscita a trattenermi. So già che fra un paio di settimane, dimenticherò quasi tutto di questo libriccino. Pur essendomi piaciuto. Forse perché divertente ma troppo lucido, o troppo artefatto e studiato. Come se trasudasse un certo autocompiacimento nel mostrare quanto fluida e ironica l'autrice sappia essere. O forse è stato semplicemente “troppo” per il mio tubo, che in questi giorni è come un uomo. Sa fare una cosa sola per volta. Digerire ma non apprezzare.

Intanto nella vita reale: “Chi ben comincia è già a metà dell’opera”. Io quest’anno l’ho iniziato male. Quindi? Posso giocarmi la carta di riserva, oppure salto il giro?

Jan 3, 2012, 6:15 PM

Più debole dei libri precedenti, ma ugualmente autobiografico con un consistente sottofondo fantastico, anche Metafisica dei Tubi ci racconta un pezzo della vita interessante di Amélie Nothomb, la vita che (quasi) tutti noi avremmo voluto vivere.
Il ritratto che se ne ricava è sempre quello di una bambina straordinaria, che si immagina come un dio e allo stesso tempo come un tubo digerente. Con la consueta ironia e prosa piacevole (anche se supponente quanto basta da brava francese, si veda L’eleganza del riccio) Amélie racconta a posteriori la storia della sua straordinaria e quasi mitica infanzia, una bambina che impara a capire e parlare sia francese che giapponese ma non lo dà a vedere se non alla tata adorata, che si scioglie per la prima volta davanti alla cioccolata bianca belga portata dalla nonna come una medicina magica per la bambina di due anni che non dà alcun segno di interessarsi al mondo che la circonda, salvo poi attraversare una fase di furore cieco e urla tanto assordanti quanto irrefrenabili.
Non può non piacere, comunque, questo adorabile spaccato di vita giapponese con le sue contraddizioni (la tata dolce e materna contro la perfida e scostante governante che detesta la piccola Amélie) e le particolarità che ci affascinano e ci repellono allo stesso tempo.
Lasciamo Amélie alle soglie della infanzia vera con una nuova e profonda consapevolezza di sé e del mondo circostante.

Oct 23, 2008, 8:18 PM