Geremia Mendleshtorm, vedovo del New Jersey, scrive un’accorata lettera al sindaco della Città dei Giusti, offrendosi di finanziare la costruzione di un nuovo "mikveh" (bagno rituale) da intitolare alla moglie in modo da onorarne la memoria. Ogni buon sindaco che conosce il suo mestiere, sa che non si può che accogliere a braccia aperte chi si propone di sovvenzionare un’opera pubblica, specialmente se la realizzazione (con tanto di inaugurazione in pompa magna) di quest’ultima coincide con il delicato periodo della campagna elettorale. Ecco, quindi, che il Sindaco Danino affida la pratica e Ben Zuk, un tutto fare fissato per le mappe con un passato un po’ oscuro ma fortunatamente ritornato alla fede. Dopo aver consultato le sue mappe, Ben Zuk propone, e il consiglio comunale approva, che il "mikveh" venga realizzato a Siberia, nome con il quale è noto a tutti il quartiere popolato interamente da anziani immigrati russi.
Partendo da un qualcosa di tanto semplice e ordinario, Eshkol Nevo, con una prosa fluida e un tono leggero, ci accompagna per mano lungo le vie di un’immaginaria città israeliana abitata dagli ortodossi, indicandoci di volta in volta i luoghi sacri, quelli profani e molte delle inevitabili contraddizioni connaturate a una comunità di tal fatta - dove i dettami religiosi vengono prima di tutto ma dove, per ovvie ragioni insite nella natura umana, quegli stessi dettami appaiono sempre più ardui da soddisfare. In una giravolta di situazioni che vanno dal drammatico al surreale ad alto tasso di comicità, l’apprezzato autore israeliano, per mezzo dei suoi personaggi, veri perché imperfetti e coerenti perché non lineari, sembra volerci suggerire che ognuno di noi - quali che siano la nostra estrazione sociale, il nostro credo (o non credo) religioso o il percorso fatto per giungere fino a qui -, sotto sotto, non desidera altro che un’altra solitudine alla quale intrecciare la nostra, per proseguire lungo i deserti di questa vita - lastricati di rimpianti e privi di punti di riferimento dai quali arguire una direzione certa - con la rinnovata consapevolezza che, per quanto “Soli e perduti” si possa essere (e si è), c’è sempre la possibilità che spunti inaspettata una piccola oasi di pace, se non addirittura di felicità.
* Recensione copiata di sana pianta da quel genio che scrive su Cabaret Bisanzio...
http://www.cabaretbisanzio.com/2015/07/07/soli-perduti-eshkol-nevo/
Soli e perduti sono i personaggi che affollano questo intreccio multiplo che allaccia ogni percorso narrativo in una danza armoniosa, simmetrica e intensa pur continuando a mantenere un tono lieve. Metafora di solitudine e vagabonda perdizione sono gli uccelli migratori che perdono la loro rotta, il loro posto nel mondo.
E chi più dell'ebreo, come singolo e come popolo, è incarnazione di tale dispersione? Chi più dell'ebreo si oppone allo sperpero di sé e del proprio senso raccogliendosi nell'ascolto e nell'interpretazione incessante della Legge?
Intorno alla costruzione di un bagno rituale si muovono i diversi protagonisti di questo racconto: non solo ebrei israeliani, ma anche emigrati russi, arabi, donne e uomini intimamente sradicati che cercano se stessi e insieme ( e non può essere diverso) il punto di congiunzione con l'altro .
Qualcuno lo troverà, qualcun altro no. Ma è la ricerca che conta, è incamminarsi il destino. E perdersi fa parte del viaggio.
" Il fringuello raro è capace di pensare, mentre precipita verso la morte, che è valsa la pena di tentare".
Si tenta il viaggio perché la meta è il congiungimento, l'unione meravigliosa, per cui la vita merita d'essere vissuta. Ma nel dedalo delle relazioni complesse la scelta non è mai banale, la sfida si costruisce nell'intimo e si gioca nel mondo.
Un romanzo che avvince, questo di Eshkol Nevo, entro il quale il piacere, la riflessione, la leggerezza e la profondità sono ingredienti sopraffini, dosati e miscelati con miracoloso equilibrio.
La vena ironica di Nevo mette a nudo vizi e virtù di una comunità che di immaginario sembra avere solo il luogo in cui si svolgono i fatti: la Città dei Giusti.
Attraverso la narrazione di una serie di episodi che spesso rasentano il grottesco, l’autore evidenzia le contraddizioni di un intera nazione. Rabbini con “pulsazioni” sessuali; un ornitologo arabo accusato di essere una spia a causa del binocolo rivolto verso una base militare; luoghi di purificazione che diventano ambienti nei quali fare pensieri carnali, e altro ancora.
Viene da pensare che solo ad un altro ebreo potesse essere “permessa” questa vera e propria satira!
Romanzo ben scritto, di un genere che, devo ammetterlo, forse non è nelle mie corde.