Il tè nel deserto

Leoni d'oro, e ce la tiriamo anche un po'.

(Quattro stelle, ma cinque all’entusiasmo con il quale l’ho letto e per partecipazione, empatia e persino un po’ di commozione finale.)

«L’ultimo luogo libero d’America è un parcheggio»

La prima volta che ho sentito parlare di Nomadland è stato grazie al post con il quale la casa editrice Clichy, annunciando l'arrivo del film che sarebbe stato lanciato di lì a poco alla Mostra del cinema di Venezia, ricordava anche il libro che avevano pubblicato solo pochi mesi prima: decidere che volevo leggerlo e vederlo è stato un tutt’uno.

Le parole del post “Ricordate Nomadland, il romanzo d'inchiesta di Jessica Bruder che racconta la storia vera dell'esercito dei senza fissa dimora che vagano ogni giorno per gli sterminati Stati Uniti a caccia di un lavoro?”, per me che già avevo letto della situazione surreale della Silicon Valley descritta da Costa, dove gli homeless sono perlopiù studenti di Berkeley e dove nella città costituite di case mobili più o meno stazionarie - come raccontava invece Masneri - abitano in gran parte dipendenti di Google o di Uber e di qualcun’altra fra le famosissime aziende che la valle ospita, sono state una calamita, così come è stata una calamita sentir parlare dei Joad, il riferimento agli hobo e a Furore.
Così leggere Nomadland, che segue un filo di interesse nato grazie a Questa è l'America: Storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro di Francesco Costa e poi proseguito con Michele Masneri e Steve Jobs non abita più qui, che riguarda la situazione e l’emergenza abitativa negli States, è stato un viaggio unico, irripetibile, folgorante, al quale si è aggiunto, a lettura quasi conclusa, l’entusiasmo per il Leone d’oro assegnato al film interpretato e voluto da Frances McDormand, attrice e produttrice che amo.

Ci sarebbe veramente tanto da raccontare su questo libro, sull’inchiesta che ha visto Jessica Bruder, reporter dedita a inchieste e approfondimenti su sottoculture e questioni sociali, per tre anni girare gli USA, per sei mesi vivere in un furgone (il van Halen!), intervistare centinaia di persone (perlopiù travolte dall’economia post 2007, perlopiù anziane e prive di assistenza sanitaria o pensione, costrette a rinunciare alla propria casa per sopravvivere a un paradosso economico) che inseguono con i mezzi che sono diventati, prima ancora che abitazioni (rifuggendo la definizione di homeless, perché al contrario dei senzatetto loro, affermano, un tetto - che sia un van, un’automobile, un vecchio scuolabus o una roulotte - ce l’hanno), l’esoscheletro che li protegge e che li accompagna, il lavoro ovunque sia possibile trovarlo.
È così che si sono creati luoghi di aggregazione spontanea, come Quartzsite nel deserto dell’Arizona e il Rubber Tramp Rendezvous dove ci si riunisce per ritemprarsi dalle fatiche della stagione estiva, o in prossimità dei CamperForce di Amazon per soddisfare il consumismo in prossimità delle festività natalizie, o nei dintorni dei parchi naturali che ogni anno assumono come host per la stagione anziani workamper, vandweller, come si chiamano questi hobo del terzo millennio.

Ci sarebbe da raccontare moltissimo, ricordare una a una le persone intervistate e descritte da Jessica Bruder (su tutte Linda May, che insieme ad altri è presente nel film, vero esempio di resilienza - ecco, finalmente questa parola ha un senso - e di positività), i loro stati d’animo, le speranze, la solidarietà, gli obiettivi e le disillusioni, elencare uno a uno i luoghi descritti, le tante parole imparate (workcamper, vanily, vanweller, boondcocking), puntare il dito su tante di queste aberranti condizioni di lavoro offerte (dalla raccolta delle barbabietole da zucchero, ai turni forzati di Amazon a quelli estenuanti nei parchi, alle paghe irrisorie, all’impossibilità di uscire da una esperienza che una volta intrapresa si rivela sia salvifica che irreversibile; ci sarebbe molto da raccontare, dicevo, anche della tanta bellezza incontrata fra queste pagine, della solidarietà delle persone, dell’accoglienza, di luoghi che aprono orizzonti infiniti, di una sensazione di libertà che aiuta a capire perché molti loro, la maggior parte, non sentano affatto di essere in transito, non ambiscano a modificare la propria condizione, non sognino di ritornare ad avere il tetto di un’abitazione tradizionale sopra la testa.
Ci sarebbe tanto da raccontare, ma preferisco lasciar parlare i numeri, i nomi, le immagini, i luoghi, e Jessica Bruder, invitando tutti a leggere Nomadland, il reportage capace di raccontare la bellezza e l’unicità di poter bere all’alba, o nel cuore della notte, un tè nel deserto, spiegando la differenza fra turista e viaggiatore.

«Attorno a un fuoco da bivacco condiviso, nel cuore della notte, può sembrare un barlume di utopia»

Linda May

LaVonne Ellis

«Ho trovato la mia gente: un gruppo raffazzonato di disadattati che mi hanno circondato di amore e accettazione. Per disadattati non intendo perdenti e sbandati. Erano intelligenti, compassionevoli, laboriosi americani a cui caduta la benda Dali occhi. Dopo una vita a rincorrere il Sogno Americano, sono arrivati alla conclusione che non era altro che un gigantesco imbroglio.»

Bob Wells, il suo CheapRVLiving.com è la Bibbia dei vanweller

Empire, la ghost town del Nevada, punto di partenza del film.
Quartzsite, il cui nome nasce da un refuso.
Douglas in Arizona, famosa per il Gadsden Hotel, il Grand Theatre e il Brophy Building, ma ancora di più perché, ormai semi abbandonata, posta al confine con il Messico, diventò negli anni Novanta centro nevralgico per i traffici del cartello di Sinaloa e nota per il famoso tunnel con il quale El Chapo e i suoi portavano la cocaina dal Messico agli Stati Uniti.

Infine un omaggio Paul "Sweet Pie" Winer, che girava nudo (o suonava il pianoforte) fra le montagne di libri della sua Reader's Oasis Books di Quartzsite, Arizona, morto nel sonno il 7 maggio 2019.
https://vimeo.com/69582311
Paul "Sweet Pie" Wiener is a nude, boogie-woogie piano player and was the first legal nude male performer in the United States. In an emotional portrait, he recounts his journey from social outcast to being a father and finding peace in operating a rare bookstore with his wife in Quartzsite, Arizona.

Le Earthship, il sogno di Linda May
«Voleva costruire una Earthship: una casa solare passiva realizzata usando materiali di scarto, come bottiglie e lattine, con i muri portanti fatti di pneumatici riempiti di terra. Inventate da un architetto radicale del New Mexico, Michael Reynolds, che ci aveva armeggiato fin dagli anni Settanta, le Earthship sono progettate in modo tale da sostenere chi ci abita senza collegamenti alle reti di distribuzione. I muri di pneumatici funzionano come batterie, assorbendo il calore solare durante il giorno attraverso una fila di finestre rivolte a Sud e rilasciandolo poi durante la notte per regolare la temperatura interna. La pioggia e la neve defluiscono dal tetto in una cisterna, fornendo acqua che viene filtrata e riutilizzata per bere e per lavarsi, per irrigare le serre interne, che forniscono frutta e verdura, e per i servizi igienici. L'energia elettrica è fornita da pannelli solari e, talvolta, da turbine eoliche. [...] A dozzine costellano il deserto nei pressi di Taos, in New Mexico, in un territorio lottizzato conosciuto come la Più Grande Comunità di Earthship al Mondo: Tutte insieme sembrano una colonia lunare co-prodotta dal Dr. Seuss, Antoni Gaudí, e gli scenografi di Guerre Stellari.»

«Nel divario sempre più ampio tra crediti e debiti, persiste una domanda: A quali aspetti della tua vita sei disposto a rinunciare pur di continuare a tirare avanti?
Nella maggior parte dei casi le persone che affrontano un dilemma simile non finiscono per vivere in un veicolo. Quelle che lo fanno, sono l’equivalente di ciò che i biologi chiamano «bioindicatori»: organismi sensibili, capaci di segnalare i cambiamenti profondi di un ecosistema.»


«Incontri moltissime persone in tre anni e 25.ooo chilometri.
Questo libro esiste grazie alla loro gentilezza. Sono grata a tutti quelli che sulla strada [ha vissuto per sei mesi in un camper] hanno condiviso con me saggezza, battitacco, bivacchi e caffè, e a tutti quelli che da casa, sostenendomi, hanno reso questo viaggio possibile.
Il grazie più profondo va a Linda May. Fidarsi di qualcuno al punto da raccontarle la tua storia non è una cosa da poco, specialmente se la persona che scrive ti gironzola attorno - a fasi alterne - per tre anni, dorme in un furgone parcheggiato nel tuo giardino e corre dietro al tuo cart per la manutenzione del campeggio scribacchiando su un taccuino. Spero che la resilienza di Linda - così come la sua intelligenza e il suo grande cuore - commuova gli altri, come è successo a me.»

E a me.

«Al bivacco del Rubber Tramp Rendezvous, un tizio è rimasto talmente inorridito dal sapere che non avevo ancora letto Viaggio con Charley [di John Steinbeck], che il giorno dopo è venuto al mio furgone per prestarmene una copia. Altri testi del canone letterario di questa subcultura comprendono Strade blu di William Least Heat-Moon, Deserto solitario di Edward Abbey, Nelle terre estreme di Jon Krakauer, Walden di Henry David Thoreau, e Wild di Cheryl Strayed.»

Sembra solo a me o hanno qualcosa in comune vanderwell e wonderwall?
E uno spunto di riflessione: quando toccherà all'Europa?

Purtroppo su Anobii non è possibile leggere il commento integrale comprensivo di immagini, per chi volesse farlo questo è il link di Goodreads: https://www.goodreads.com/review/show/3521542912

Sep 28, 2020, 6:55 AM

Gli Stati Uniti nascondono un’ampia fetta di popolazione tradita dal sogno americano, eppure resiliente. Sono i tanti, tantissimi dalla crisi del 2008, che hanno perso il lavoro, non sono riusciti a onorare il mutuo o il prestito per gli studi, hanno dilapidato i risparmi per problemi di salute, sono incappati in un divorzio oneroso. Sono quasi tutti bianchi, quasi tutti hanno un titolo di studio superiore o universitario, quasi tutti avevano un lavoro che pareva sicuro, quasi tutti hanno più di cinquant’anni, quasi tutti avevano una casa. Adesso tutti si definiscono “senza casa”, ma non “senza tetto”: un tetto sopra le loro teste c’è, che sia un furgone, un camper o un’automobile.
Vivono soprattutto di lavori stagionali, spostandosi là dove c’è richiesta di dura manovalanza a bassissima remunerazione: guardiani di campeggio, raccoglitori, spedizionieri di Amazon. Affrontano i pericoli della strada, svicolano dalle norme restrittive di tante città, sperano di non incontrare troppi problemi con balordi o tutori della legge, si sostengono a vicenda tramite forum e blog, si ritrovano nei luoghi canonici dove campeggiare senza molti costi è più semplice, organizzano corsi di auto-aiuto e raduni.
Anche questa è l’America: Jessica Bruder la presenta dopo tre anni di interviste e di vita in comune con i vanweller. Anche lei ha comperato un mezzo e si è lanciata in strada, anche lei ha provato a lavorare per Amazon, anche lei è stata nel deserto. Il suo libro è fatto di storie, non solo di statistiche, storie di denuncia, ma anche di speranza, come il progetto di Linda May di mettere a frutto i suoi risparmi e le sue competenze ingegneristiche costruendosi finalmente una earthship house nel deserto dell’Arizona, una casa autosufficiente realizzata con materiali di scarto. 

Aug 31, 2022, 3:32 PM
Nomadi del secondo millennio: la faccia slabbrata del sogno americano

Questo racconto inchiesta, scritto da Jessica Bruder, mi ha appassionato dalla prima pagina fino all'ultima riga. L'autrice, nota giornalista specializzata in temi sociali e sottoculture, dimostra con questo lavoro la sua abilità narrativa nel dipingere le molteplici contraddizioni dell'America contemporanea, una nazione che, nonostante la sua ricchezza, ancora nel secondo millennio vede sempre più persone costrette a fare la dolorosa scelta tra pagare l'affitto o mettere del cibo sul tavolo anziché curarsi.
Il libro ci porta a conoscenza di uomini e donne in età pensionabile, costretti dalla precarietà a abbandonare le proprie case e ad adottare uno stile di vita nomade. Questi "vandweller", come vengono definiti, trasformano i loro veicoli mobili in dimore su ruote (furgoni, camper, roulotte), viaggiando per gli Stati Uniti fino in Canada alla ricerca di lavori temporanei che possano garantire loro una sussistenza minima. Queste migrazioni per necessità ci ricordano il classico "Furore" di Steinbeck, portando alla luce le stesse tematiche di disperazione e ricerca di un futuro migliore.
Con una scrittura brillante e coinvolgente, Bruder racconta in stile cronachistico, storie individuali che si intrecciano in una narrazione collettiva, evidenziando il conflitto tra il desiderio di libertà e di appartenenza e la mancanza di sicurezza sociale.
"Nomadland" non è soltanto un libro, ma un'indagine che ci spinge a riflettere sulla natura dell'America moderna e sul fallimento di un sistema globale incentrato sul consumismo e sulla redditività, in cui tutti siamo coinvolti, che ha generato precarietà anche per coloro che pensavano di godere di una pensione serena. E invece, questi “membri del precariato”, si ritrovano costretti, per sopravvivenza, a fare lavori fisicamente massacranti nei magazzini di Amazon oppure nei campeggi come host stagionali, sempre retribuiti con bassi salari. 
Il romanzo ha ispirato l’omonimo film, interpretato in modo magistrale da Frances McDormand e premiato con il Leone d'Oro alla 77ª Mostra del Cinema di Venezia, oltre a tre premi Oscar nel 2021.
Brava l’autrice per la sua capacità di raccontare una realtà complessa e attuale con profondità e coinvolgimento, ma anche brava la traduttrice, di cui ho apprezzato le Ndt che hanno facilitato la comprensione.

Feb 22, 2024, 10:44 PM