“Non posso dire se l’avevo vista prima o se la scoprii in quel momento, appoggiata allo stipite della porta: una parte della sottana, una scarpa, un lato della valigia che entravano nel fascio di luce delle lampade. Può darsi che io non l’abbia vista neppure allora, nel momento in cui cominciò l’anno, e che abbia solo immaginato, non ricordo, la sua presenza immobile situata con esattezza fra la baldoria e la notte.”
Un colpo “basso” e un colpo al cuore.
Uno dei vicini mi scrive che Onetti è il Faulkner latinoamericano e tanto è bastato ad accaparrarmi l’unica copia disponibile in libreria e leggerlo, tutto d’un fiato.
Con il cuore in gola.
In Onetti ho ritrovato il senso dell’assurdo di Bartleby, l’incomunicabilità umana di Pirandello e la densità di Faulkner.
Con quest’ultimo, che Onetti ammirava più di ogni altro scrittore, ha in comune anche un tempo sospeso della narrazione, uno spazio immaginato e immaginario che diventa verosimile - la contea di Yoknapatawpha per W.F. e Santa María per Onetti - e una lingua ricca e densa, complessa e sfaccettata, carica di simbolismi e significati.
Condividono anche l’insensatezza della condizione umana e la solitudine dei personaggi, condannati in partenza nel caso di Onetti e <<perduti fin dalla nascita e inchiodati alla loro perdizione >> in Faulkner (definizione di Sartre); il passato come luogo in cui risiedono le colpe dei personaggi in Onetti, il dolore l’unico modo per espiarle in Faulkner.
In entrambi la narrazione procede per suggestioni ed è ricca di aggettivi e dettagli.
E di vuoti, di non detto, quello che viene “suggerito” in un orecchio e poi, in qualche modo, “visto” dal lettore, quello che non cogli subito ma che si chiarisce man mano che il racconto procede.
Negli addii i vuoti e un’atmosfera notturna danno luogo ad una sospensione della tensione, che lascia supporre, porta a fraintendimenti e crea malintesi, chiariti solo alla fine.
Il senso dell’assurdo e l’incomunicabilità umana sono enfatizzati da una dimensione surreale che pervade tutto il racconto.
Negli addii è chiaro sin da subito che “è inutile affannarsi per sfuggire al destino”, in Faulkner il fallimento è preceduto da un tentativo di riscatto, da un anelito alla felicità, perché anche “il fallimento è degno di nota e ammirevole, purchè il fallimento sia splendido abbastanza, il sogno splendido abbastanza, irraggiungibile abbastanza e tuttavia per sempre prezioso abbastanza, poichè era sogno di perfezione".
Del resto i due scrittori, schivi di natura, si assomigliavano anche negli atteggiamenti personali; Faulkner intervistato dichiarava di non pensare ai potenziali lettori perché era un “contadino” e Onetti affermava sempre “di scrivere al meglio con totale sincerità, senza pensare mai agli ipotetici tizi che mi leggeranno.”
Grazie agent per avermi indotto a leggere questa meraviglia.
Dove sono le altre 15 stelle che vorrei dare a questo libro?
Quizas
http://www.youtube.com/watch?v=2wQ4gJo0bII
Questo è il mio secondo tentativo con Onetti, dopo “Il pozzo” con cui non ero riuscito ad entrare in sintonia. Riparto ancora con un romanzo breve perché credo sia più congeniale ad un approccio che deve essere attento perché Onetti non è un autore semplice, bisogna seguirlo con cura nelle sue svolte narrative in cui il senso sembra perdersi per poi riapparire recuperando il lettore e riportandolo nella storia.
In particolare, “Gli addii” racconta la vicenda di un ex campione di basket di mezza età che deve curarsi in un sanatorio nella sierra argentina. Mi sono chiesto perché del basket e non del più popolare calcio, forse perché la narrativa di Onetti rifugge per il suo campione da una popolarità più chiassosa. Accanto all’ex campione che della sua gloria ricorda solo una grave sconfitta, ci sono due donne che ne accompagnano la vita, prima attraverso le lettere, poi con la loro presenza fra il vecchio albergo e una villetta affittata. Questi personaggi, i principali della vicenda, non hanno nome, oltre all’ex campione, le donne sono, quella più anziana, con gli occhiali scuri e la giovane.
Il narratore è il titolare dell’emporio in cui tutti vanno per bere qualcosa, compresi l’infermiere e la cameriera dell’hotel che lo aiutano con ciò che vedono e sentono, a raccontare la vicenda dell’uomo malato e delle due donne. Una vicenda che viene narrata come se i protagonisti fossero visti dietro un vetro, senza che, fino all’ultimo, si leggano dialoghi fra loro. Sul loro menage calano giudizi moralistici impietosi, mentre si attende, in un’aura poetica e rassegnata, che il destino dell’ex campione malato si compia e si scopra la realtà.
Il moralismo dei si dice non viene banalmente condannato, è come se Onetti volesse semplicemente avvertire dell’incongruenza dei giudizi di chi guarda da dietro il vetro.
Una prosa meravigliosa ci accompagna in questo viaggio breve, ma intensissimo, che invita con grande leggerezza a sospendere il giudizio sulla vita degli altri.
Protagonista di questo romanzo breve di Onetti è un ex campione di basket ormai malato di tubercolosi che si trasferisce in un paesino di montagna. Si avvicendano al suo fianco due donne che rappresentano due diversi tipi di femminilità: la donna matura e quella giovanissima, appena uscita dalla pubertà. Ma qui tempo ed esperienza non rappresentano la maturità, bensì la decadenza, perché per l’autore uruguaiano non si può vivere un’esistenza confidando nel proprio corpo. Ogni corpo decade, tradisce…
Da giovani si confida nell’eternità della propria condizione e si pensa che solo gli altri invecchino. Lo scorrere dei giorni ci insegna che nulla dura né si ripete. Conduciamo il più delle volte esistenze che somigliano a binari destinati a incrociarsi solo in rare occasioni di scambio…
Dimmi, hai notato anche tu il modo in cui le donne conservano negli occhi le tracce dei loro viaggi in treno? Deve essere per via di quel desiderio che le accompagna, fatto di tutti i baci e gli abbracci che stanno raggiungendo.
In queste pagine si avverte forte il senso di fallimento di ogni legame e l’incapacità di comunicare dei protagonisti: chi cerca di non lasciarsi soffocare come individuo non riesce a mischiarsi con questa vita.
L’autore fa muovere il suo protagonista in un panorama fatto di pochissimi dettagli appena accennati. E’ questa la caratteristica di chi è un bravo scrittore di racconti. Il giocatore di basket, al pari degli altri protagonisti dei suoi romanzi, sembra trascinare la propria esistenza e il lettore comprende fin dall’inizio che in qualche modo è già condannato. C’è in questa, ma anche in tutte le altre opere di Onetti, la consapevolezza di una sorta di autodistruzione dell’uomo. Lo si intuisce dal modo in cui il racconto viene costruito, rendendo più interessante comprendere il passato dei protagonisti perché l’inevitabile epilogo è già lì, sotto i nostri occhi.