Un piccolo libro dalla veste tipografica elegante. Ambiente: una vecchia costruzione per metà fortezza cristiana e per metà palazzo arabo nel deserto. Personaggi: un giovane, dinamico, archeologo americano invitato dallo stravagante collega inglese che abita in quell’edificio. Un servitore ambiguo e misterioso, cosmopolita, dal linguaggio composito, uno strano miscuglio tra dialetto Cockney e lingue mediterranee. Altri servitori arabi, sfuggenti, avvolti nel burnus.
Intorno il colore ambrato del deserto, l’azzurro spietato del cielo, la vampa implacabile del sole, la brezza fresca della sera.
Quando il giovane arriva l’anziano collega non c’è, richiamato da un sito archeologico per visionare una nuova scoperta, dovrebbe essere presto di ritorno. Il luogo è suggestivo e gradevole, attendere non pesa.
Ma col passare dei giorni, strani indizi e coincidenze alimentano un clima di misteriosa inquietudine, alla quale non è estraneo l’enigmatico servitore. E qui è d’obbligo che io mi fermi.