Nato a Monticiano il 29 marzo 1948 e morto a Lucca il 16 aprile 2012, Petrini ha lasciato un’impronta maggiore sul calcio italiano da scrittore, nonostante una più che discreta carriera da calciatore (fra il 1965 e il 1980, quando fu squalificato per il primo Calcioscommesse), fra Genoa, Milan, Torino, Catanzaro, Roma, Verona, Cesena e Bologna.
Nel 2000, ha pubblicato una scandalosa, avvilente, magnifica autobiografia, intitolata Nel fango del dio pallone. In quel libro, scoperchiò la pratica del doping e mise sotto accusa il “sistema-calcio”, riferendo di partite comprate e vendute, pagamenti in nero, disonestà assortite, vite al di sopra della legge (a partire dalle sua: è questo a rendere la confessione così potente). In seguito, ha ricostruito la morte di Donato Bergamini (Il calciatore suicidato), e poi sono usciti altri titoli, per un totale di nove; questo è il quarto in ordine di pubblicazione. Da morto, Petrini ha vinto la causa per diffamazione che gli aveva intentato il suo celebre compaesano, Luciano Moggi.
Ho letto cinque dei nove libri di Petrini; nessuno vale l’esordio, è noto che certe pubblicazioni successive vennero fatte per un disperato bisogno di soldi, e già in questo caso si avverte la fretta nel mandare in stampa le 220 pagine, attraverso una struttura caotica, quasi istintiva, sommando appunti sparsi e frammenti di storie (alcune brevi o brevissime), finalizzate a sostanziare la convinzione dell’autore: il calcio italiano è marcio e ipocrita, le quattro fondamenta “su cui poggia il baraccone pallonaro” sono “trucchi, imbrogli, illeceità e impunità”. Petrini attacca frontalmente Moggi e la Gea, due anni prima che scoppi Calciopoli. Analogo trattamento lo riserva al “Poltronissimo” Franco Carraro, già presidente del Milan nel 1967 e membro del CIO dal 1982.
In appendice, gli interrogatori di Birindelli, Tacchinardi, Pessotto, Conte e Del Piero il 21 luglio 2003, nel corso del processo per doping intestato alla Juventus di Giraudo e Agricola: 1994-1998 il periodo contestato. È una grottesca sequenza di “Non so” e “Non ricordo”. I cinque calciatori dicono che i farmaci servivano per recuperare energie dopo gli sforzi atletici, tutti si fidavano ciecamente dei medici, Conte fa riferimento anche a trattamenti per problemi psicologici personali, con le sue contraddizioni Pessotto si copre di ridicolo e fa perdere la pazienza ai giudici, l’avvocato difensore (Chiappero) avanza “opposizioni” a certe domande, alcuni passaggi sono esilaranti. C’è chi è passato dagli integratori chimici a bere più acqua.