Ho ripreso il romanzo, letto molto tempo fa, da poco, perché ero troppo giovane per coglierne appieno significato e profondità. Per tentarne un'analisi occorre innanzi tutto fare la tara a tutto il ciarpame decadentista che oggi appare ammuffito, come il contenuto di un vecchio baule trovato in soffitta. Diciamo anche che non vi si trovano scene di crudeltà estrema, come si potrebbe pensare (da Masoch deriva masochismo), c'è qualche legatura, qualche frustatina, un po' di sangue, ma nulla che possa turbare un lettore sensibile, nessun compiacimento; anche le scene erotiche sono allusive, mai esplicite. Si tratta di un romanzo complesso che si presta ad una serie di riflessioni ad ampio raggio: intanto bisogna tener conto dei molteplici riferimenti culturali, davvero stimolanti: quelli a Goethe per esempio e non solo. Degna di attenzione è anche l'analisi sul paganesimo e la sua concezione dell'erotismo confrontata ai rigori che il cristianesimo impone alla sessualità. Attuale anche l'esame molto minuzioso e dettagliato dei meccanismi della seduzione, delle dinamiche di dominio/sottomissione all'interno della coppia. Grande spazio è dedicato all'analisi della psicologia femminile e del ruolo della donna. Ma qui mi fermo perché, essendo la trama molto esile, si tratta di un elemento fondamentale, e parlarne toglierebbe all'aspirante lettore il piacere della scoperta. Da questo testo è stata tratta l'opera teatrale di David Ives e da questa a sua volta il film di Roman Polanski, entrambi con il medesimo titolo, La pièce teatrale esamina ed elabora drammaturgicamente proprio questo aspetto dandone al tempo stesso una valutazione. Polanski traspone la piéce in film con sostanziale fedeltà, anche perché l'autore è cosceneggiatore. Si consiglia di andare in ordine: romanzo, pièce, film.
Molto istruttivo! I meccanismi del desiderio di sottomissione e del godimento nel dolore perpetrato dalla nobildonna dominatrix Wanda von Dunajew a scapito (o beneficio) del giovane aristocratico Severin von Kusiemski.
Paradossi di superficie - di solito dal dolore si fugge - ma talmente connaturati e diffusi fra gli esseri umani (non credo esistano masochismi fra gli animali), da offuscare giudizi morali ed etici di aberrazione, perversione o devianza:
«Io trovo nella sofferenza una strana attrazione, [...] che niente riesce a eccitare la mia fantasia come la tirannia, la crudeltà, e soprattutto l'infedeltà di una bella donna. [...]
Avevo 10 anni quando mi capitarono fra le mani le leggende dei martiri; ricordo di aver letto con un orrore che in realtà era una sorta di estasi, come languivano nelle prigioni, come venivano messi sulla graticola, trafitti da frecce, tuffati nella pece bollente, gettati in pasto alle belve, crocifissi, e come subissero queste atrocità con una sorta di gioia.
Il soffrire dolori e tormenti atroci mi apparve da allora come un godimento soprattutto se le torture erano inflitte da una bella donna.»
Ricercare la felicità nel dolore mi fa pensare. Il contraltare di De Sade - che pur nei suoi orrori è razionalmente più comprensibile -, mette in moto molti pensieri che cercano ragioni che non trovano. E va bene così, non tutto va sempre spiegato.
Di impianto autobiografico, scritto nel 1870, è un po' giovane Werther, un po' D'Annunzio e un po' Liaisons dangereuses ed esprime riflessioni di assoluta puntualità e modernità; insomma, ci azzecca parecchio.
In tempi di massiccia diffusione di mommy-porn (ma chi inventa queste magnifiche definizioni?), anzi, in tempi di grigiore narrativo degradante, ovvero digradante sfumando verso il niente, sorgono tuttavia le migliori occasioni per rispolverare i romanzi antesignani di baldanzosi best seller contemporanei che vanno tristemente per la maggiore. Sicuramente meno conosciuto del cosiddetto marchese de Sade, cui lo accomuna l’aver inventato una patologia, perfettamente speculare, l'austriaco Leopold von Sacher-Masoch pubblicò nel 1870, facendo molto scalpore, Venus im Pelz. L’opera che leggiamo in questa traduzione italiana si basa sull’edizione del 1878, ampiamente rivista dall’autore, che, senza approfondire i nuovi interventi di Sacher-Masoch (rimando alle appendici della versione ES) , vede al centro della scena il rapporto di sottomissione che lega Severin a Wanda, sensuale principessa di Leopoli che fa cadere follemente innamorato il nobile galiziano, irretito dalla sua folgorante bellezza e dalla sua deifica avvenenza, suggellata da morbidi, preziosi peli a profusione. Sono infatti zibellini, ermellini, volpi gli elementi di contorno necessari e fatali perché si esercitino il fascino e la dominazione irresistibile della Principessa su Severin, divenuto nel frattempo Gregor, il servo di costei che firma pure un patto di sottomissione e scorta la nobildonna in un tour di umiliazioni e sofferenze. Pene che fortificheranno il suo amore e l’idealizzazione della donna bramata, che a sua volta non rinuncia alla scenografica pelliccia pure per dormire, quando esce dalla vasca da bagno o lo guarda legato a un aratro. Una storia sottile, movimentata da dialoghi rapidi e curati, senza tuttavia l’impressionante capacità di scandalizzare di un Sade, dunque assennatamente perversa, e un protagonista a tratti convincente nella sua estatica abnegazione, a tratti insopportabile nella sua reiterata, convinta tappetinica attitudine. Che sarebbe poi il perno del libro, se vi aggrada