Un memoir che attraversa i confini dello spazio e del tempo.
I ricordi dell'infanzia e dell'esistenza dell'autrice a cavallo di due culture, in apparenza incompatibili tra loro: italoamericana/afroamericana.
Storia di migrazioni e di esistenze invisibili, di sopravvivenza e di abitudini, legate dal filo rosso del sangue.
Le donne delle due famiglie incarnano l'essenza delle diverse culture, e rappresentano i punti di riferimento che accompagneranno l'autrice per tutta la sua vita.
Traduzione eccellente.

Jul 30, 2008, 4:06 AM

Per fortuna che esistono i libri che ti vengono incontro e ti catturano. Libri come "La pelle che ci separa" di Kym Ragusa. Per fortuna. Perché è un testo che riesce a prendere anche lettori smaliziati e con la scorza dura come la mia. Ignoravo tutto dell'autrice e del libro. Mi ha incuriosito, inizialmente, perché parlava di Harlem. E io ho una fissa ossessiva per New York. Poi leggendo la quarta di copertina ho saputo che si trattava di un "memoir" (racconto autobiografico che non è autobiografia, ma quasi letteratura, anzi nei casi migliori vera letteratura) e che l'autrice era afroamericana (da parte di madre) e italoamericana (da parte di padre). Anzi da parte di madre la faccenda è più complessa perché, per effetto di diversi incroci tra africani, tedeschi e cinesi, pelle, capelli e occhi della famiglia materna di Kym creano un bel casino, tanto che alcuni parenti erano considerati quasi bianchi e sicuramente erano più bianchi di molti del ramo paterno, siculo-calabrese.
Tutto questo arravogliarsi sui colori della pelle è il centro del libro, già dal titolo. E' il dramma sul quale si arrovella l'autrice, ma senza cadere nel patetico o nel declamatorio, piuttosto raccontando la vita di due nuclei familiari, tra i quali si trova divisa, come Persefone, sei mesi sulla terra, sei mesi nell'Ade. E' proprio il mito greco a fare da prologo e conclusione al libro che mi ha conquistato dalle prime pagine (diciamo dalle seconde, che all'inizio m'è sembrato troppo legato a certe regole di scuole di scrittura). Ragusa è anche regista e lo si capisce da come dà risalto alle immagini: analizza fotografie dalle quali risale alla vita, fotograta con parole la vita mettendo a fuoco dettagli pieni di significato.
E poi parla degli anni Settanta, di un'adolescenza in quel periodo che in America è stato frenetico: dalla fine della guerra nel Vietnam alle culture psichedeliche, dalla moda afro alla crescente presenza di latinos nelle metropoli. Tutto questo è sullo sfondo e a volte in primo piano, ma non devia lo sguardo di una bambina che scopre come la pelle (e il razzismo) separi, laddove potrebbe unire. E che capisce come ci siano infinite pelli, colori mutevoli. Perché dipende anche da che parte si guarda. Infatti non è solo razzista la comunità italoamericana verso neri e ispanici, ma lo è anche la comunità nera verso gli italiani e gli ispanici, ma persino verso i neri che hanno la pelle più chiara.
Non voglio dire molto altro, perché ci sarebbe da dire tanto. Ma più scrivo più tolgo il piacere della scoperta a chi, magari, ha voglia di leggere "La pelle che ci separa".

Nov 17, 2008, 8:20 PM

Il sottotitolo in inglese di questo libro è "A Memoir of Race, Beauty, and Belonging". Memoir è una parola diversa da autobiografia, si parte dai ricordi, da oggetti e poi si tenta di definirli, di riempirli di colore, di mettere la carne a quei resti di ossa trovati, senza pretese di verità. Più per un percorso personale. Kim Ragusa racconta la propria storia e della sua famiglia, riempendola di emozioni e di ricordi proprio a partire dalle storie raccontate dalle nonne e dalle foto in bianco e nero che il tempo sta sbiadendo. Ma nel suo libro riprendono vita e colore, fermandosi nella memoria grazie alla scrittura. Ma sono sempre i colori del bianco e del nero, in tutte le sue sfumature di grigio perchè Kim è figlia di un italo-americano e di una afro-americana. L'ironia della sorte volle che il padre fosse più nero della madre, da qui storie di una vita sempre in difficile equilibrio con se stessa, con le sue due famiglie e la società. Da leggere. Da premiare la coraggiosa casa editrice Nutrimenti e Caterina Romeo, la bravissima traduttrice che è riuscita a riportare la complessità del linguaggio e la poesia di italo-americani ad Harlem.

Jul 10, 2008, 2:30 PM