Raramente ho riscontrato così tanta confusione nell'esposizione di concetti. Se fosse stata la mia prima lettura femminista sarebbe stata anche l'ultima perché davvero non ci avrei capito nulla. Per fortuna non lo è stata e posso paragonarla ad altre sicuramente più centrate, significative ed interessanti. L'autore sembra voler lanciare più spunti possibili in pochissime pagine, per cui non approfondisce, passa di palo in frasca, diventa discorsivo e non analitico: ha voluto dire tutto quel che c'è da dire sul femminismo lasciando nel lettore solo un grosso "?" finale.
"Molti (e molte) sono ancora prigionieri di un'idea strumentale del linguaggio: le parole servono a nominare le cose e a dare espressione ai pensieri. Doppio errore: le parole fanno esistere le cose e formano i pensieri, che senza le parole non avremmo affatto. Quando si nasce e si cresce il linguaggio già esiste: noi nasciamo immersi nel linguaggio, e la lingua che sentiamo intorno a noi è strumento e deposito di tutta la cultura nella quale viviamo, locale, regionale, nazionale, mondiale. Il linguaggio è una visione del mondo. In Italia impariamo una lingua che ha due generi, per i quali tutte le parole cambiano da uno all'altro. Impariamo fin da subito una rigida divisione del mondo in cose maschili, da uomini, e cose femminili, da donne. Impariamo, insieme alle parole, il potere che hanno le relazioni che passano attraverso quelle parole: le stesse parole non hanno valore uguale se pronunciate da un genitore o dall'altro, da un coetaneo o da un adulto. La lingua ci ricorda le gerarchie presenti intorno a noi; crescendo, impariamo quanto possano fare male alcune parole, e quanto sia importante impararne il più possibile per essere capaci di esprimersi. Purtroppo molti e molte credono esistano cose "che non si possono esprimere" è lo stesso errore evidenziato sopra. Quante poesie, quanti romanzi serviranno per estirpare questa idea così limitante? Non sapremmo neanche di provare i sentimenti più profondi se non fossimo capaci di dare un nome neanche a loro, e non il contrario.
Queste errate convinzioni continuano a sedimentarsi, impedendoci di notare quante costruzioni culturali, che hanno un età e un'origine precisa, scambiamo per "natura". Prima di tutto, le caratteristiche di uomini e donne: non c'è nulla di più mutevole, nella cultura, che il concetto di uomo e donna. Il secondo luogo non ci accorgiamo di quanto potere veicolino le espressioni: pochi hanno notato che la maggior parte degli insulti della nostra lingua si riferiscono alle donne, a parti del loro corpo, o che la maggioranza dei proverbi e dei modi di dire italiani connotano negativamente le donne; pochissimi hanno fatto caso che "cornuto" e "figlio di puttana" – i due insulti che più spesso si scambiano gli uomini, nelle loro varianti regionali – non riguardano affatto gli uomini, ma le donne che loro dovrebbero "controllare". Ricordiamoci che ancori oggi "donna con le palle" è considerato un complimento: attribuire ad un sesso i genitali dell'altro sarebbe un modo di apprezzarlo. Il primo insulto che imparano i bambini verso i maschietti loro simili è "Frocio" – tutto ciò sarebbe naturale?. Mentre tanti femminismi ci mettono davanti queste impietose quanto utili analisi del nostro modo di esprimerci, tra le ragazze più giovani, e non solo "femminista" viene usato come insulto.
È necessaria una trasformazione del linguaggio – cioè del pensiero –lavorando molto su di sé, per conoscere il valore di alcuni termini e per combattere il linguaggio sessista. Perché molto del sessismo che noi tutti e tutte agiamo ci viene dalla lingua che parliamo, dal mondo che racconta e dalle abitudini giudicanti che veicola con sé."