Il libro non mi ha entusiasmata. Carino, ma niente di più. La traduzione non mi è piaciuta. I personaggi, a parte Dante (che mi è piaciuto), sono così così. Anche l’intreccio l’ho trovato un po’ stiracchiato - dopo la trilogia delle gemme della Gi ...continue
Il libro non mi ha entusiasmata. Carino, ma niente di più. La traduzione non mi è piaciuta. I personaggi, a parte Dante (che mi è piaciuto), sono così così. Anche l’intreccio l’ho trovato un po’ stiracchiato - dopo la trilogia delle gemme della Gier questo libro mi è sembrato insipido.
Questo libro è piccolo — infatti consta di appena 64 pagine — ma è sincero nel contenuto. Fa parte di una collana della Penguin che si chiama “Penguin Modern”, interamente composta da autori e autrici sia anglofoni che in traduzione (per dire: c’è ...continue
Questo libro è piccolo — infatti consta di appena 64 pagine — ma è sincero nel contenuto. Fa parte di una collana della Penguin che si chiama “Penguin Modern”, interamente composta da autori e autrici sia anglofoni che in traduzione (per dire: c’è anche Calvino) da proporre “in pillole”. Il contenuto di questi piccoli libretti al di sotto delle 100 pagine include perlopiù trascrizioni di discorsi pubblici, pamphlet o saggi brevi. Si tratta di una collana veramente ben fornita che include testi non sempre facilmente reperibili, che a volte si perdono nell’etere o in raccolte poco ristampate. La trovo davvero una bella collana, che dà l’opportunità di avvicinarsi ad autori di tutto il mondo attraverso i loro testi non prettamente narrativi.
Tra i tanti, ho preso l’ebook dedicato alla poetessa e attivista afroamericana Audre Lorde, dal titolo “The Master’s Tools Will Never Dismantle the Master’s House” (tradotto: “Gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone”).
Il titolo del libro è tratto da uno dei suoi discorsi pubblici più famosi (ovviamente inserito nel libretto), e la frase è una di quelle considerate più emblematiche tra quelle pronunciate dall’autrice, continuamente citata nei testi femministi e postcolonialisti.
Il discorso fu tenuto alla Second Sex Conference, a New York, nel 1979; il tema del panel era “The Personal and the Political”. Il suo contenuto in realtà era abbastanza incazzoso, perché Lorde una volta accettato l’invito si era resa conto di essere l’unica donna nera e l’unica lesbica invitata all’evento, a mo’ di “token”. Il testo in sé, quindi, è una dura critica al mondo accademico e alla costante superficialità che Lorde ha incontrato in quest’ambiente. È anche un breve ma incisivo discorso sull’importanza della valorizzazione della diversità e sul dovere delle categorie di persone che hanno più privilegi di informarsi e istruirsi da sé, comprendere perché è importante prendere l’iniziativa per sostenere le minoranze anziché limitarsi ad ascoltare un bel discorso tenuto da una persona facente parte di quelle minoranze e poi chiuderla lì, senza interiorizzare le parole sentite e tradurle in atti.
È un testo breve ma fortemente stratificato nei suoi significati.
Oltre a questo scritto, il libro include altre quattro trascrizioni di discorsi pubblici, tenuti tra gli anni ‘70 e ‘80: “Poetry Is Not a Luxury”; “Uses of the Erotic”; “Uses of Anger: Women Responding to Racism”; “Learning from the 1960s”.
I primi due testi sono i più “miti” nei toni, i più poetici. A mio parere però sono proprio quelli che evidenziano di più l’abilità nella scrittura di Lorde, la sua confidenza con le parole, l’efficacia con cui riesce ad essere pregnante e a trasmettere un messaggio emotivo, oltre a quello meramente intellettuale. Lorde evoca immagini semplici ma essenziali, riuscendo a trasmettere davvero cosa significa utilizzare la Poesia e l’Erotico per stabilire un contatto profondo con se stessi e con gli altri, per raccontarsi e dare voce alla propria essenza, non mancando di situarla nella società, a livello politico. Avere la possibilità di esprimersi liberamente in versi e con il proprio corpo è un diritto per cui bisogna lottare, e sono strumenti che troppo spesso, nella storia, sono stati soppressi e perseguitati. Il corpo della Donna Nera, in particolare, è sempre stato avvolto da pesanti catene.
Per Lorde la poesia è un «rivelatore distillato dell’esperienza», un modo essenziale di tradurre il proprio esperire tramite la parola; con poche parole si può descrivere un mondo. L’Erotico invece è «una fonte di potere e informazione»; poter disporre del proprio corpo liberamente non è affatto scontato, le donne lo sanno e le donne nere ne sono ancora più consapevoli; possederlo veramente, quindi, significa essere potenti. E attraverso i nostri corpi siamo in grado di comunicare a livelli anche più profondi di quelli che le semplici parole possono raggiungere, così come essi ci rendono in grado di conoscere e comprendere intimamente l’altro.
Da questi testi passiamo poi ai discorsi pubblici più rabbiosi, e difatti uno di questi scritti è proprio dedicato alla Rabbia e ai suoi utilizzi. La Rabbia per Audre Lorde è costruttiva, è ciò che ci spinge verso il cambiamento, la decostruzione e la ricostruzione; è diversa dal risentimento o l’odio, ed è una delle forze che nella Storia hanno veramente consentito di cambiare il mondo. È un discorso che non va per il sottile, come quello dedicato agli anni ‘60; Lorde riporta molte esperienze personali ed episodi di abuso e discriminazione subiti da altre sue compagne, e non ha pietà per il pubblico ricco, istruito e bianco davanti a cui parla.
Il più veemente di tutti è l’ultimo saggio, dedicato a una spietata analisi degli anni ‘60, partendo dal martirio di Malcolm X, per poter aprire un dibattito che guardi con occhio critico anche gli anni ‘80 (in cui ha scritto questo discorso). Non fa sconti, né fra neri né fra bianchi.
Non dico altro. Sono testi brevi ma da scoprire.
In conclusione: la voce di Lorde sa essere implacabile, ma è proprio questo che la rende una grande attivista e una grande scrittrice, a mio parere. Sa fare un uso saggio della parola; nella poesia ha un talento raro, naturale. Mi dispiace che in Italia non sia molto conosciuta, men che meno tradotta. Purtroppo i suoi libri sono stati pubblicati da case editrici di nicchia (quando siamo fortunati) e a volte risultano fuori stampa, difficili da reperire.
I testi presenti in questo piccolo libro sono tutti estratti da una raccolta più estesa e completa intitolata “Sister Outsider” (pubblicato in Italia dalla casa editrice Il Dito e la Luna con il titolo “Sorella Outsider”, probabilmente irreperibile).
Per quanto mi riguarda, approfondirò i testi socio-politici, siccome ho già letto le sue poesie. Nel caso di Lorde, Poesia e Politica vanno a braccetto, sono inseparabili. Un’accoppiata che a me personalmente piace sempre, non ci posso fare niente!
Ne consiglio la lettura, questo è sicuro.
Chiudo con una piccola citazione tratta da “Poetry Is Not a Luxury”:
«The white fathers told us: I think, therefore I am. The Black goddess within each of us — the poet — whispers in our dreams: I feel, therefore I can be free.»
Due parole sull’autrice: Marcia Tiburi è una filosofa, artista e attivista brasiliana che un paio di anni fa è dovuta fuggire dal suo paese a causa delle minacce di morte ricevute, non senza prima aver preso parte alle elezioni per la carica di go ...continue
Due parole sull’autrice: Marcia Tiburi è una filosofa, artista e attivista brasiliana che un paio di anni fa è dovuta fuggire dal suo paese a causa delle minacce di morte ricevute, non senza prima aver preso parte alle elezioni per la carica di governatrice di Rio de Janeiro; nella lotta politica era vicina a Marielle Franco, l’attivista brasiliana uccisa in un attentato nel 2018. Spinta dalle pressioni e dalle minacce dei movimenti conservatori come il Movimento Brasil Livre, Tiburi si è autoesiliata in Francia, e al momento vive a Parigi.
Questo pamphlet, in cui introduce la sua idea di femminismo (che dev’essere “intersezionale e universale”), uscì proprio nel 2018 col titolo “Feminismo em comum: Para todas, todes e todos”. Il testo in sé è breve ma venne molto apprezzato per il suo linguaggio inclusivo, introducendo fin dal titolo il neutro con “todes”, che assieme a “todas” e “todos” rafforza il concetto di unione e coinvolgimento di tutti nella filosofia femminista.
Finalmente (nel 2020) questo piccolo libro è sbarcato anche in Italia, grazie alla casa editrice effequ e alla sua grande cura e attenzione per queste tematiche.
Aggiungo che, avendo letto delle considerazioni su questo libro in un altro saggio (si trattava de “Il corpo del testo” di Laura Fontanella, in cui venivano analizzate alcune peculiarità del linguaggio di Tiburi e delle possibili difficoltà di traduzione del suo testo), le mie aspettative erano piuttosto alte, anche su un mero livello linguistico, oltre che di contenuto.
Posso dire che questa lettura mi ha lasciata molto soddisfatta.
Tiburi delinea con molta semplicità il panorama femminista contemporaneo, prendendone in considerazione vari punti di vista, argomentazioni e controversie. È un testo di carattere perlopiù filosofico; non vi troverete riassunte cose come la storia del femminismo o un elenco dei vari femminismi ad oggi esistenti, per dire. Ci sono però molte considerazioni interessanti tratte dal pensiero di vari filosofi e filosofe, scrittori e scrittrici o attivisti e attiviste, soprattutto concernenti gli studi di genere e quelli postcoloniali, ma non solo. Si possono incontrare, ad esempio: Judith Butler, Achille Mbembe, Audre Lorde, ma anche Christine de Pizan, Jacques Derrida e Michel Foucault.
La riflessione si ferma su molti micro-argomenti e Tiburi ci dice la sua posizione a riguardo; il contesto di cui parla è il Brasile di Michel Temer e poi di Jair Bolsonaro, ma molti dei suoi punti e delle sue considerazioni (la maggior parte, a dire il vero), sono applicabili ad altre società occidentali contemporanee.
Ho trovato la lettura molto interessante, seppur non dica cose estremamente rivoluzionarie, soprattutto per chi ha già confidenza con la letteratura femminista. A maggior ragione, però, stupisce come un pamphlet così focalizzato sui diritti umani e in particolare sul diritto di parola, sulla dignità delle persone di tutti i sessi e di tutti i generi di lottare per uno spazio che possa dare loro occasione di esprimersi, sia stato così fortemente condannato in patria, al punto da portare alle minacce e all’esilio dell’autrice. Traspare la crisi in cui si trova il Brasile al momento, in queste cose.
Personalmente, ho apprezzato molto anche il suo linguaggio: chiaro, lucido, incisivo. Critico e aperto all’autocritica.
Menzione speciale per il capitolo “Siamo tutte lavoratrici”; conteneva una riflessione sul femminismo, le donne e il “femminile” che mi è piaciuta molto!
Consiglio questo libro a chiunque cerchi una fotografia del femminismo di oggi, per capire “a che punto stiamo”. E lo consiglio per il gran numero di spunti che questi brevi capitoli sono capaci di dare, soprattutto per dibattere e discutere su alcune tematiche come la razzializzazione di vari ambiti, la povertà, la classica immagine dell’angelo del focolare, il rapporto tra politica ed etica. Non lo escluderei nemmeno come testo da far provare ai ragazzi e alle ragazze delle scuole superiori, magari al quinto anno. Ci sono tanti passaggi che troverei perfetti per stuzzicarli un po’ o intavolare dibattiti costruttivi sulla quotidianità, sulle ideologie, sulle mode.
In conclusione: una bella lettura! La collana “Saggi Pop” di effequ mi sta donando tante gioie.
Angela Yvonne Davis scrisse e pubblicò “Autobiografia di una rivoluzionaria” (An Autobiography) nel ‘74, a soli trent’anni. Molti direbbero che è un’età un po’ prematura per scrivere un libro sulla propria vita, e anche Davis ne è consapevole. Tut ...continue
Angela Yvonne Davis scrisse e pubblicò “Autobiografia di una rivoluzionaria” (An Autobiography) nel ‘74, a soli trent’anni. Molti direbbero che è un’età un po’ prematura per scrivere un libro sulla propria vita, e anche Davis ne è consapevole. Tuttavia l’esigenza di impugnare una penna e raccontare i fatti più recenti della sua vita deriva da un enorme senso di giustizia (che la caratterizzava e la caratterizza ancora), dal bisogno di dare voce alla moltitudine di persone che l’hanno accompagnata nella lotta alle discriminazioni razziali e sociali sistemiche, dalla necessità di far conoscere a tutto il mondo le storie dei fratelli e delle sorelle di colore che hanno subito ingiustizie e sono stati traditi dal sistema giuridico americano.
Si tratta quindi di una biografia corale, più che di un’autobiografia. Davis mette la narrazione della sua vita al servizio degli altri, così che nel raccontare gli eventi salienti della sua vita da attivista assistiamo a un lungo processo di costruzione collettiva. Tante persone che, impegnandosi e credendo fermamente in ciò che fanno, raggiungono risultati impensabili.
Davis ci tiene a elencare tutte le persone coinvolte nelle operazioni di attivismo del suo collettivo Che-Lumumba, ma in questo racconto corale fanno la loro comparsa anche i Black Panthers, il National Association for the Advancement of Colored People e lo Student Nonviolent Coordinating Committee, e innumerevoli altre entità politicamente e socialmente attive.
Nonostante la fascinazione per queste numerose storie, anche la vita di Angela Davis risulta interessante e parla della sua realtà sociale in ogni evento che la caratterizza.
Lo notiamo nella parte che riguarda la sua infanzia, ad esempio. Nata e cresciuta a Birmingham, in Alabama; la vita di Davis è fin dall’inizio dura, essendo una nera in uno Stato del Sud ancora profondamente razzista, con gli strascichi dello schiavismo ancora palesi in ogni ambito (siamo negli anni ‘40). I neri sono poveri, le loro case vengono letteralmente fatte esplodere con delle bombe piazzate sotto le verande, le loro scuole sono allo sfascio e gli insegnanti insegnano loro a malapena a leggere e scrivere. È una vita difficile.
Davis però ha fortuna e riesce ad accedere agli studi superiori, grazie alle borse di studio.
La vediamo quindi andare a New York, in un’università leggermente meno razzista, accettata semplicemente perché “token” in una sede in cui sono tutti bianchi. Là coltiverà la sua cultura e si laureerà in filosofia, venendo a contatto con un ambiente vivo e dialogante fatto di personalità di spicco come James Baldwin, Malcolm X, Herbert Marcuse, Theodor Adorno. Insomma, quanto è figo scrivere la tesi di dottorato con Marcuse come relatore?!
In tutto questo, Davis studierà approfonditamente e sposerà gli ideali del Manifesto del Partito Comunista. Immaginatevi una donna acculturata, nera e comunista, in un’America che ricorda ancora con affetto il maccartismo, e dove il corpo di polizia è problematico esattamente quanto lo è oggi, tra abusi di potere e violenza razziale.
Insomma, quella di Davis è una vita giovane ma attivissima, emblematica in più di un aspetto. La sua voce è rabbiosa e risoluta, vogliosa di combattere il sistema, ma non per questo è avventata o poco metodica.
Ed è una voce che non si spegne neanche in carcere, anzi! La troveremo, negli anni ‘70, messa ai ferri corti, eppure sempre pronta a far circolare di nascosto i libri, di cella in cella, o a battersi per i suoi diritti e per quelli delle sue compagne carcerate, palesemente calpestati, tra mille privazioni e soprusi. Immaginatevela mentre insegna il karate nei corridoi del carcere, a scopo di autodifesa! Nulla sembra poter scoraggiarla o irretirla abbastanza a lungo da farle gettare la spugna e arrendersi al razzismo e al sessismo che incontra tutti i giorni, in carcere come fuori.
Questa autobiografia è una vivida fotografia di un’epoca piena di incontri e scontri, battaglie e movimenti di massa, politica e attivismo. La narrazione di Davis coinvolge ricchi e poveri, bianchi e neri, uomini e donne, e non si ferma negli Stati Uniti. La vedremo viaggiare in Europa, soprattutto in Francia e Germania, e poi volare a Cuba, a tagliare le piante di canna da zucchero insieme ai suoi compagni in sostegno dei lavoratori.
Insomma, Davis in questo libro ha solo trent’anni ma ha già una vita piena e affascinante. E di cose da dire ne ha a iosa.
Vi consiglio di recuperare “Autobiografia di una rivoluzionaria”, quindi. Io l’ho trovata davvero molto interessante, e sono venuta a conoscenza di alcuni fatti di cronaca di cui non sapevo nulla, come il caso dei Soledad Brothers.
Non aspettatevi uno scritto particolarmente poetico o letterariamente complesso; lo stile di Davis è asciuttissimo, quasi cronachistico. Ma si lascia leggere, tranquilli. E ne vale la pena.
Concludo con una citazione di James Baldwin, tratta da una lettera che scrisse a Davis mentre era in carcere e che fu inserita come prefazione nel libro “If They Come in the Morning”:
«Alcuni di noi, bianchi e neri, sanno che duro prezzo è già stato pagato per creare una nuova coscienza, un nuovo popolo, una nazione nuova. Se sappiamo e non facciamo nulla, siamo peggiori degli assassini assoldati in nostro nome. Se sappiamo, allora dobbiamo batterci per la tua vita come se fosse la nostra — perché lo è — e sbarrare con i nostri corpi il corridoio della camera a gas. Perché se ti porteranno via all’alba, la sera verranno a prendere anche noi.»
“Canta, spirito, canta” si apre con il giorno del compleanno di Jojo, che compie la bellezza di tredici anni. Un’età che Ward decide essere quella giusta per caricare il suo protagonista di tutto il peso del mondo.
Jojo infatti incarna gli ...continue
“Canta, spirito, canta” si apre con il giorno del compleanno di Jojo, che compie la bellezza di tredici anni. Un’età che Ward decide essere quella giusta per caricare il suo protagonista di tutto il peso del mondo.
Jojo infatti incarna gli Stati Uniti contemporanei: essendo figlio di un uomo bianco e una donna nera, simboleggia l’apertura multietnica e il nuovo, libero mondo in cui viviamo, seppure nel Sud (come scopriremo leggendo il libro) è presente ancora una forte resistenza al cambiamento, rendendo la sua esistenza problematica; allo stesso tempo Jojo discende da radici sia afroamericane che nativo americane, mettendolo così in relazione con un passato sanguinoso che non può conoscere per esperienza diretta, ma che permea ogni frangente della sua vita, tutto ciò che gli accade.
Abbiamo quindi due mondi che si incontrano e scontrano, uno nel presente e uno nel passato; Ward poi accentua questo dualismo mescolandovi anche concretezza e spiritualità.
Quest’ultima divisione è alla base del romanzo e sembra una chiave di lettura fondamentale. Jojo e la sua famiglia, infatti, hanno una doppia essenza: una terrena, concreta e completamente in balìa del proprio corpo e dei suoi fluidi e umori; l’altra è spirituale, magica, antica, segreta.
Questo è evidente fin dalle prime pagine, dove vediamo Jojo nella sua fattoria, intento ad aiutare il nonno mentre è occupato a scuoiare una capra; la descrizione entra nel dettaglio e ci parla di pelle, interiora, muscoli, ossa – e i conati di vomito del ragazzino, la bile. Una dimensione domestica truculenta che è in comunione e allo stesso tempo in contrasto con il legame spirituale che Jojo ha con gli animali, essendo capace di comprenderne il silenzioso linguaggio, fermandosi spesso ad ascoltarne il cicaleccio. Il suo rapporto quotidiano con il non-umano quindi è sia fisico che soprannaturale.
Queste dinamiche si ripropongono man mano che il romanzo si sviluppa, soprattutto nella parte centrale (ma non vi anticipo in quale modo).
In compenso vi dirò che in questa parte vediamo Jojo e la sua famiglia intraprendere un viaggio in macchina di due giorni che pare una piccola e patetica Odissea, dalla quale traspare la realtà di una famiglia instabile e piena di problemi. Scopriamo così, in ordine sparso: una madre rimasta incinta da minorenne e che di tanto in tanto abusa di droghe pesanti, un padre in carcere, violenza domestica, trascuratezza, una sorellina che si ammala con un tempismo incredibile all’inizio del viaggio, una nonna materna malata di cancro e in fin di vita, dei nonni paterni razzisti. La vita di Jojo, a soli tredici anni, sembra insostenibile.
Ad aumentare il carico c’è una vicenda parallela ambientata nel passato, che il nonno di Jojo racconta al nipote a più riprese, e che è carica di tutta l’eredità afroamericana e indigena. Il protagonista assoluto di questo racconto è il “luogo del dolore” a cui tutto si ricollega: Parchman, il penitenziario dove River, il nonno di Jojo, ha scontato una pena quando aveva quindici anni, e da cui il padre di Jojo sta per uscire (nel tempo presente). Questo penitenziario è stato il palco di uno spettacolo macabro e oscuro, che nasce ed è fondato sulle ossa degli schiavi, del Sud fatto di campi di cotone, fruste, catene.
Sia per il legame col nonno che quello con suo padre, Jojo si ritroverà indissolubilmente legato a Parchman, volente o nolente.
Questo romanzo è carico di simbolismi. L’ho letto con molta calma e attenzione, cercando di assorbire il più possibile da questa lettura. Ci sono molti rimandi, ad esempio, ai serpenti e agli uccelli, tipici portatori di morte o di tetri annunci. Un altro elemento su cui Ward si sofferma spesso è la terra, intesa come terriccio: nero, soffice, umido. La terra può far crescere e fiorire la vita, ma è anche l’entità verso cui ogni corpo è attratto, a cui ogni essere sogna di ritornare, una volta morto.
Nella letteratura del Sud, il terreno è spesso un luogo delizioso e allo stesso tempo pauroso a cui tornare, che ti abbraccia, ti risucchia e ti fa scomparire per sempre - però ti dà anche pace. Ed è proprio la pace quella che cercano gli “unburied” del titolo originale, quei corpi che non hanno trovato riposo tramite una degna sepoltura, corpi che sono stati abusati e bistrattati in vita e nella morte.
Toccherà a Jojo cercare di riportare la quiete tra gli spiriti tormentati che hanno vissuto il razzismo, la violenza e l’odio. Ma ci riuscirà?
Può la nuova generazione far trovare la pace ai migliaia di spiriti che hanno sofferto e che hanno impregnato il suolo americano del loro sangue?
La risposta ve la lascio scoprire leggendo questo libro che in più di un’occasione si è rivelato doloroso e crudo, a volte grottesco, ma anche affascinante e ipnotizzante.
Jesmyn Ward ha scritto un romanzo perfettamente calato nel contesto odierno. Con una penna semplice e diretta cerca di coinvolgerci in qualcosa che è incredibilmente più grande di noi ma che nonostante la sua entità pachidermica ancora oggi facciamo fatica a riconoscere e accettare: un passato oscuro, fatto di cicatrici non ancora sanate, e che ha i suoi strascichi in molte comunità contemporanee.
Lo consiglio, seppur sia una lettura che potrebbe lasciare un po’ straniti per il ritmo altalenante e gli elementi di realismo magico (so che non a tutti piacciono). È anche perfetto come lettura a tema per il Black History Month.
Per quanto mi riguarda, leggerò di sicuro gli altri romanzi di Ward, in futuro. Magari a partire da quelli ambientati a Bois Sauvage, come questo qui.
È il mio primo approccio ad Allende, e mi sembrava giusto cominciare a conoscerla partendo proprio dal suo primo romanzo; uno scritto che deve molto a “Cent’anni di solitudine” di Márquez, ma che allo stesso tempo ci racconta una storia nuova, uni ...continue
È il mio primo approccio ad Allende, e mi sembrava giusto cominciare a conoscerla partendo proprio dal suo primo romanzo; uno scritto che deve molto a “Cent’anni di solitudine” di Márquez, ma che allo stesso tempo ci racconta una storia nuova, unica, tutta a modo suo. Si legge in ogni riga che Allende sentiva di avere una storia da raccontare, e questa era ormai un’impellenza. Abbiamo così un racconto che ci parla di tante donne che in qualche modo sono un riflesso della madre e della nonna di Allende stessa, e abbiamo una cornice eterea e allo stesso tempo realistica della storia recente del Cile, un tumulto dietro l’altro.
La meraviglia di questo affresco del Sudamerica sta nel saper mescolare l’immaginifico e il grottesco, l’idealismo e la critica sociale. Allende ci guida in un posto favoloso e quasi sospeso nel tempo: la casa degli spiriti, anche detta “la casa dell’angolo”. Al suo interno vi troviamo una famiglia bizzarra, composta da donne dai capelli verdi, zii che costruiscono macchine volanti, chiromanti, donne che parlano coi morti e che annunciano profezie. È un mondo etereo, come ho detto, quasi favolistico, avulso dalla realtà e confortevole nelle sue stranezze, che ci avvolge e ci fa sentire al sicuro.
Ma nessuno è davvero al sicuro dalla forza della realtà. Pian piano scopriamo le brutture e i difetti di questo mondo reale, che si insinuano pian piano nel racconto. E tra l’opulenza e il bizzarro scopriamo, nascosti tra le crepe, la povertà, le malattie, le deformità, la violenza, gli estremismi. Il realismo magico di Allende diventa lentamente sempre più realista e sempre meno magico, finché non ci sorprendiamo in mezzo al tumulto del Colpo di stato cileno del ‘73.
L’autrice ha deciso di prendere dei fatti storici veramente accaduti ma di renderli in qualche modo universali, affinché tutti li potessero comprendere; in modo che chiunque potesse rendersi conto che ciò che è accaduto in Cile può accadere ovunque.
E così abbiamo la figura del Poeta, del Candidato, del Presidente, del Generale. Tutti generici e nebulosi, eppure ombre di persone veramente esistite. A uno sguardo più attento, forse implicitamente “illuminato” come quello di Clara e le altre donne come lei, si rivelano Pablo Neruda, Salvador Allende, Augusto Pinochet. Spiriti. Spettri che ci parlano ancora, persone che nonostante non ci siano più materialmente vagano ancora nella Storia, per sempre esistenti in un passato che non si può cambiare e che ci coinvolge tutti.
La chiave sta tutta in questo passaggio, che inevitabilmente collega il passato, il presente e il futuro:
«Lei ha scritto che la memoria è fragile e il corso di una vita è molto breve e tutto avviene così in fretta, che non riusciamo a vedere il rapporto tra gli eventi, non possiamo misurare le conseguenze delle azioni, crediamo nella finzione del tempo, nel presente, nel passato, nel futuro, ma può anche darsi che tutto succeda simultaneamente, come dicevano le tre sorelle Mora, che erano capaci di vedere nello spazio gli spiriti di ogni epoca.»
È tutto collegato a tal punto che prevedere il futuro può essere un atto magico, ma di fatto non ci soccorre e non ci viene in aiuto in alcun modo. Conoscere il futuro non ci dà la soluzione per cambiare il presente, men che meno il passato. Questo lo dimostrano anche le continue anticipazioni che Allende dissemina nel romanzo; ogni tanto ci rivela come morirà Tizio o fra quanti anni si incontrerà di nuovo con Caio, ma ciò non ci dona sollievo in alcun modo. La certezza di un fatto futuro lascia una matassa di vicende da districare nel mezzo, una strada dal punto A al punto B arzigogolata e che dovremo percorrere, non importa cosa c’è alla fine. Il punto B diventa irrilevante; la fine diventa irrilevante. Ciò che conta è quello che si fa durante il viaggio.
E trovo meraviglioso e geniale che Allende ci dica tutto ciò, che rifletta in modo così profondo sull’arbitrio, sul tempo e la sua potenziale inconsistenza proprio con una protagonista come Clara, capace di vedere nel futuro, potenziale portatrice di fatalismo.
Ed è solo uno dei tanti aspetti che ho apprezzato di più.
Un altro concetto che emerge e che considererei il cuore del romanzo è quello di Memoria. Si ripropone e conferma in più occasioni durante la storia come chiave d’interpretazione e come esperienza catartica. La dimensione del ricordo, ciò che custodiamo nella nostra mente, paradossalmente diventa l’unica cosa reale e palpabile, l’unica che conta davvero in questo mondo, che deve essere preservata. I ricordi di ciò che è stato vengono così trascritti su alcuni quaderni da Clara, autoimpostasi il ruolo di custode (forse perché, essendo in grado di vedere gli spiriti, comprende meglio l’importanza delle voci di chi non c’è più?). Allende ci ricorda così quanto siano importanti le storie, che siano vere o fittizie, e di quanto contino le percezioni di ognuno, perché ognuno di noi è custode di un’esperienza unica che in qualche modo racconta anche il contesto in cui siamo vissuti. Queste storie ci aiutano a non dimenticare ciò che è accaduto. Potrebbero fare da monito per ciò che accadrà? Forse sì, forse no. Come intuiamo leggendo questo romanzo, conoscere il futuro non sempre ci è veramente d’aiuto. I ricordi di chi non c’è più però possono aiutarci a vivere e comprendere meglio ciò che accade attorno a noi. La Consapevolezza è la chiave, la comprensione è ciò che ci rende fondamentalmente umani.
Sono contenta di aver letto questo meraviglioso romanzo, e ora ne capisco il grande impatto avuto a livello letterario nelle ultime decadi. Allende risulta profondamente lucida e situata, poetica e allegorica ma in qualche modo sempre vigile. Ama profondamente i suoi personaggi, soprattutto le sue donne, ma non le protegge in alcun modo dagli attacchi del loro mondo e dal giudizio del lettore. Sono molto lontane dall’essere perfette, ma sono vive. Ho percepito la loro umanità in ogni riga e in più di un passaggio mi sono sinceramente emozionata e commossa.
Un romanzo che mi ha sicuramente lasciato qualcosa e su cui tornerò a riflettere anche in futuro, ne sono sicura.
“... l’economia globale ha subito una mutazione, passando da un sistema produttivo basato sulle materie prime a uno alimentato dalla conoscenza. In passato le principali fonti di ricchezza erano beni materiali come le miniere d’oro, i campi di gra ...continue
“... l’economia globale ha subito una mutazione, passando da un sistema produttivo basato sulle materie prime a uno alimentato dalla conoscenza. In passato le principali fonti di ricchezza erano beni materiali come le miniere d’oro, i campi di grano e i pozzi di petrolio. Oggi la principale fonte di ricchezza è la conoscenza”.
Ma la conoscenza porta con sè un enorme paradosso.
“Nei secoli passati la conoscenza umana faceva progressi lentamente, cosicché la politica e l’economia si adeguavano a un passo altrettanto tranquillo. Oggi la nostra conoscenza sta correndo a rotta di collo, e in teoria dovremmo comprendere il mondo sempre meglio. In realtà accade l’esatto contrario. Le nostre recenti conoscenze ci conducono a cambiamenti economici, sociali e politici più veloci; nel tentativo di comprendere cosa sta accadendo, acceleriamo l’accumulazione di conoscenza, che però ci porta soltanto a ulteriori sconvolgimenti, ancora più rapidi e grandiosi. Di conseguenza siamo sempre meno in grado di capire il presente o di prevedere il futuro.”
Questa “breve storia del futuro” cerca invece di farlo, regalando alcune illuminanti chiavi di lettura del nostro mondo. I temi trattati sono, come di consueto per Harari, tantissimi, alcuni nemmeno tanto condivisibili (l’idea che tutte le nostre emozioni, i pensieri, le esperienze umane siano solo l’effetto indotto di algoritmi, sì sofisticati ma teoricamente riproducibili, proprio non mi convince) ma alcuni temi aprono veri e propri varchi nella mente.
L’evoluzionismo di Darwin, le biotecnologie, le religioni, il capitalismo, il comunismo, il neoliberismo, la nuova religione dei dati, tutto passa sotto la lente di Harari, che riesce a sintetizzare e decifrare teorie complesse in un modo che a me risulta sempre stupefacente.
Alla fine ti ritrovi a sottolineare questo libro come se lo dovessi studiare, per ritornarci su dopo e riflettere meglio.
E seppure meno affascinante di Sapiens, anche questo Homo deus diventa un libro imperdibile.
Bellissima lettura con una visione reale di alcuni sentimenti femminili.
Quando ho cominciato questo libro, non mi aspettavo che sarebbe stato così pieno di risvolti, di storie, di punti di vista, di dettagli. E di riflessioni.
Mi è piaciuta molto la prima metà, mi sono un po’ arenata verso il centro, ma poi la f ...continue
Quando ho cominciato questo libro, non mi aspettavo che sarebbe stato così pieno di risvolti, di storie, di punti di vista, di dettagli. E di riflessioni.
Mi è piaciuta molto la prima metà, mi sono un po’ arenata verso il centro, ma poi la fine è scivolata via veloce.
Devo ammettere che vi riponevo una speranza molto semplice e probabilmente anche particolarmente naïf: vedere rappresentata una società più giusta, più equa, più placida. Perché le donne dovrebbero aver imparato sulla propria pelle cosa si prova ad essere inferiori per quanto riguarda la forza fisica, e ad essere considerate come subalterni, un contorno. Vallette. Invece questo libro è proprio uno schiaffo in faccia che ci mostra che noi donne non siamo diverse dagli uomini.
Deve esserci un’altra strada, per un futuro migliore.